Hai girato il mondo dentro a un cuore

Prendo in prestito questa frase di una canzone di Elisa. E' quello che provo in questi giorni, riferito a me e alle persone che incontro ogni giorno. Incontrarsi, vivere le esperienze di ogni istante appieno, assieme, con-vivere nel senso più ampio del termine.

Riflessioni. Sull'empatia, su una particolare forma di affetto, diverso dalla classica definizione di amore che, si spera, tutti abbiamo provato almeno una volta nella vita.
Che non vuol dire accettazione incondizionata, ma incontro, essere in relazione e condividere, capire e ascoltare, riconoscere la persona che hai davanti come una persona che in fondo è esattamente come te. Umana. Un alter ego.

E sul contrario dell'empatia stessa. Cioè l'assenza di amore autentico per l'altro.
Come è possibile utilizzare una persona? Come è possibile mentire anche a sé stessi nel tentativo di distanziarsi per difendersi dall'altro, non solo da chi hai di fronte, che ti chiede una cosa così semplice ma al contempo così profonda, ma anche da un aspetto di sé che chiede a gran voce di non rimanere da solo?
Cosa può spingere degli scienziati a sperimentare su esseri umani di una "razza" diversa, al fine di ottenere un miglioramento delle condizioni della propria?

E se la risposta fosse: considerando l'altro diverso da te?
Non al tuo livello, non umano, non una persona, non un soggetto. Ma un oggetto, una cosa.

Non posso non tornare con la mente a episodi passati della mia vita. Che, nonostante siano conclusi, morti e sepolti non lo sono per nulla, hanno lasciato una profonda cicatrice che ancora non si è rimarginata del tutto, e che segna indelebilmente l'orientamento non solo dei miei studi, ma anche dei miei pensieri.

L'incontrare persone che quando pensano si dicono "solo io sono un uomo, solo io sono al mio livello, solo io, io, io, io, solo io.
E gli altri sono solo delle pedine, da usare a mio piacimento, come mi garba, per quello che mi va. Io ho sofferto, io non vado avanti, io e il mio mondo che non c'è più, io quel bambino che ha smesso di crescere, io io io io io io io io sempre e solo io. Io sono il mio Dio, io sono Dio.
E tutti mi devono adorare, tutti devono ascoltarmi, tutti devono volermi, nessuno mai mi deve rifiutare. Chi lo fa non ha capito un cazzo, è un imbecille, chi non è con me non esiste."

L'epopea Berlusconiana, la nemesi di Lex Luthor, o dei casi più vicini alla vita di tutti i giorni.

Storie di tutti i giorni. Che a tratti sembrano tratte da Beautiful o dai peggior telefilm della tivù italiana.
Ma, dopotutto, chi scrive quei copioni, a cosa si sta ispirando se non alla vita vera?

Ora, parlo troppo. C'è il rischio che finisca anche io in quel vortice di egocentrismo.
Provo a starne attento. E mi domando di continuo, da mesi…
… quale è la verità? Cos'è la verità?
E la risposta non c'è mai.
E' la domanda che forse è sbagliata.
Dopotutto, per ogni domanda nonsense, ormai l'ho ripetuto a buso, la risposta è: 42.

O forse la posso considerare in altro modo.
La risposta potrebbe essere altrettanto un gioco di parole. "Quid est veritas?", cos'è la verità, trasformata in "est vir qui adest", è l'uomo che hai qui davanti.

Nel senso: l'incontro. Accorgersi di chi hai davanti, che è un uomo esattamente come te, anche se non è il tuo specchio, anche se non è te.
Non mi sono discostato molto da quello che sostenevo in [url=http://iow.no-ip.com/index.php?entry=entry091029-164333]questo[/url] post, che ricordo, scatenò un vespaio. L'immagine non l'ho messa a caso.
La verità non è una e indiscutibile, sono MOLTE, infinite anche per ogni singola persona, e ogni relazione, ogni dibattito vero, può crearne una, o ancora infinite.

E' nell'incontro che si realizza la verità.
E se la verità è l'uomo che si ha davanti, è nella relazione che si diventa davvero persone, soggetti. E' stando assieme che gli uomini diventano davvero uomini.

Parlo troppo astruso? Lo so, l'ho detto che dovrei ricominciare a bere seriamente.

Tra un paio di settimane devo tenere quella relazione in aula.
Verso la quale spero di ottenere almeno un decimo dell'interesse che vi provo io.
E che spero mi aiuterà, assieme ad altre decine di teste pensanti, ad analizzare ancora più a fondo il tema del narcisismo patologico. Ammesso che da qualche parte riusciamo ad arrivare.
Uso il plurale apposta, perchè da solo non sono approdato a nessun porto.
E oggi me l'ha chiesto. E ora, come state? La storia è andata avanti?
Certo che è andata avanti. Nel bene e nel male.
Insieme ne stiamo vivendo di tutti i colori, condividiamo i momenti di gioia e quelli di tristezza. Ma condividiamo, quello che prova l'altro riusciamo a capirlo, siamo in sintonia. E andiamo avanti… non siamo più arenati.

Siamo una barca fuori da quel porto… una barca non è fatta per rimanere in un porto, anche se questo può dare sicurezza.
E c'è anche chi, di rimanere in quel porto, si sta stancando di brutto. Era ora! La vita vi chiama!

La foto l'ho scattata per opporla all'altra. L'autunno della fine di un'era sta lasciando il posto a una nuova primavera. Che dovremo crearci migliore possibile.

C'è chi ha iniziato, e una nuova vita è cominciata.
Benvenuto Nicolas… Sei la prova vivente che la speranza è sempre viva, che un nuovo inizio è sempre possibile, che l'amore è la risposta a tutto, anche alle brutte avventure che nella vita capitano a chiunque.
E che l'amore alla fine ha sempre l'ultima parola.

Tra domande e risposte

Ieri ho passato una giornata vuota. Vuota a livello universitario.
Zero stimoli, zero spunti di riflessione… capita, anche se sempre più raramente per fortuna. All'inizio di questo percorso, di cui sono al quarto anno, volevo apprendere strumenti, mezzi, armi per risolvere come per magia i problemi degli altri, che tanto per cambiare non si discostano di molto dai miei. Cercavo risposte. Che non trovavo da solo, e che mi sto convincendo sempre più non esistano. Non esistono risposte univoche o universali.
O forse una si. Ma torniamo alla giornata di ieri.

Vuota, dicevo, ma solo a livello puramente universitario.
Al mattino accompagno Rossella in segreteria, che tanto dovevamo fare la stessa strada fin li. E mi dice: tu, che sei psicologo, dammi una risposta: come faccio a convincere una persona a fare la cosa giusta?
Eh, come se lo sapessi.
La risposta che le ho dato è: non si può.
Al di là del fatto che, come posso io decidere a priori cosa sia meglio o peggio per una persona, e costringerla in una data direzione non penso sia volerle davvero bene (o almeno, cosi la penso sul libero arbitrio), convincere una persona senza sintonizzarsi sul suo perchè abbia preso una data decisione non credo sia possibile.
Prova tu a convincere un depresso cronico, che vede nella morte l'unica soluzione e la fine della propria sofferenza, a non suicidarsi.
Prova tu a convincere un tossicomane che è il caso di smetterla di farsi altrimenti finisce nella tomba vivendo una vita da schifo.
Forse, e dico forse… l'unica cosa che puoi fare è condividere con lui la sua sofferenza, accompagnarlo, ascoltarlo, cercare di capire come mai sia arrivato a questo. Presupponendo che se è arrivato a tanto, un ragionamento, e pure parecchio sofferto, deve averlo fatto.
E da li, capire. Il primo passo di una condivisione, di un dialogo. Che forse gli può, solo in virtù del non essere più da solo, far cambiare in autonomia una decisione. O far capire, in un caso meno grave e rovesciando la prospettiva, che la cosa giusta di cui parlava prima la mia coinquilina spesso è solo egoismo, pensare prima a sè stessi che al bene dell'altro.

Poi incontri un'amica, che ti sgionfa il cervello con le sue paturnie. Oh, altri termini non mi venivano, solo il dialetto rende bene!
Ti racconta la sua storia. I suoi problemi, i suoi timori. E chiede: come faccio?
Tesoro mio, io non lo so! La soluzione ai tuoi problemi non coincide con la mia soluzione ai miei problemi, anche presupponendo una assoluta coincidenza tra i miei e i tuoi di problemi!
Come ho risolto, e risolverò i miei, non è detto vada bene anche a te. Anzi, è proprio difficile che le mie soluzioni si adattino perfettamente alle tue pare, anche solo statisticamente parlando.
E mo, che si può fare…?

Ascoltare, ascoltare, ascoltare.
Buttare qualche provocazione, casomai, ma soprattutto ascoltare. Accompagnare, nella ricostruzione di una storia che non è la mia, non è più solo la sua nella sua solitudine, ma è inevitabilmente nostra.
E in quanto fatta da due persone, ha più prospettive, più significati. Che in ogni caso devono nascere dall'altro, ma da un altro non più solo, a cui offri in modo autentico la tua partecipazione, anche con il solo esserci.
Forse è questa la risposta che si può dare, l'unica. L'esserci, e in definitiva l'amore.

Mi viene a questo punto spontaneo un parallelo con i Prof. Si, quei pochi con la P maiuscola, che mi hanno fatto riconsiderare negli anni l'intera idea di docente. Una volta per me erano avversari da abbattere e sconfiggere, ora loro li vedo come alleati in un cantiere che sta costruendo questo gran casino che sono io. E se sono arrivato a essere così, quando a diciott'anni ero un cazzone che mirava solo a divertirsi e andare controcorrente (ma anche a venti e in definitiva fino alla depressione, che è stato l'inizio del cammino), qualcosa devono essere riusciti a fare…
L'università finora non è stata proprio del tutto inutile! Non è stata solo l'apprendimento nonsense di una miriade di nozioni e studi che presto finiranno nel dimenticatoio delle mie sinapsi degenerate – o meglio, sacrificate a qualcosa di più costruttivo!

Io miravo ad avere mezzi, strumenti, armi per risolvere i problemi di tutto il mondo, un pò come Batman tira fuori dalla sua Bat-cintura mille gadget per sconfiggere il cattivo di turno, Joker (la pazzia, il delirio) o DueFacce (personalità multiple, la psicosi) che siano.
In realtà, armi del genere esistono solo nei fumetti. Ovvio che trovarle nel mondo reale sia un pò difficile…
I Prof che mi sono rimasti più impressi finora, sono paradossalmente quelli che mi hanno dato meno risposte. Risposte preconfezionate, s'intende. Ma mi hanno fatto venire mille domande, dato mille spunti di riflessione, messo in dubbio la stessa idea che avevo inizialmente di psicologia.
Mi hanno accompagnato. Ascoltato. Messo in crisi, talvolta. Ma accompagnato.
E mi stanno facendo trovare in me le risposte che vanno bene a me, alla stessa maniera di come farei istintivamente io con chi mi chiede aiuto. Quindi, forse, stanno facendo davvero i Maestri, i genitori, accompagnandomi nella comprensione di questo casino che stiamo costruendo insieme, che si spera un domani possa contribuire alla ricostruzione di una storia di vita migliore per qualcun altro…

O almeno lo spero, ma mi auguro proprio di non aver preso un abbaglio, o di non star sperando troppo ottimisticamente. Ma credo che l'insegnare autentico, quello di cui parlavo qualche riga fa, e il voler bene, non siano separabili, in quanto, almeno nel mio mondo, dovrebbero coincidere.
Se non altro almeno sono sempre più convinto che questa sia la mia dimensione, quella in cui voglio rivedermi appieno, la persona che sto cercando di diventare. L'esserci. Saper dare quella risposta che in definitiva non è altro che lo stare accanto e il voler bene, l'accompagnare chi ti porge una mano per chiederti aiuto in questo cammino incasinatissimo che altro non è che la Vita.

E direi che si cammina molto meglio, in due…

L'urlo

Qualche anno fa in Germania è stato prodotto un film, che è passato per lo più sotto silenzio. Si chiama L'Onda. Quanti di voi l'hanno visto?
E' la storia rivisitata di un esperimento sociale, poco ortodosso devo dire, condotto negli anni '70 da un professore delle superiori. Durante la "settimana a tema", si è trattato dell'autocrazia, cioè dei regimi totalitari. E i ragazzi a dire: sai che palle, sempre con questa storia del Terzo Reich, oggi questa cosa non potrebbe più succedere, ne abbiamo visto e provato le conseguenze.
Il professore, in cinque giorni, ha dimostrato il contrario, creando un movimento assieme ai ragazzi, detto "L'onda", che ha inglobato pure lui stesso. Una forma di protesta sfociata in una autocrazia, di cui lui era a capo, e che ha portato in così breve tempo a minacce, proclami, violenza e morte in una escalation che ha dell'incredibile, ma che segue una logica senza confronti.
L'ho rivisto un paio di volte, sembra assurdo come si possa arrivare a un regime così antidemocratico con così tanta facilità.
Poi mi guardo attorno, osservo la situazione nella cerchia delle amicizie, nell'associazione di cui faccio parte e in questo paese che amo, e mi rendo conto di come sia invece una tragica realtà.

Nei giorni scorsi ho fatto la mia prima esperienza da scrutatore. Entrando in quella scuola, guardavo la bandiera che sventolava, e mi dicevo: è un grande esercizio di democrazia, tutti dovrebbero provare almeno una volta a fare questa cosa.
Dopo aver partecipato allo scrutinio dei voti, e aver visto e toccato con mano le schede, mi domando di che democrazia io stessi parlando.
Risultati elettorali a parte – credo che ormai parlare di politica sia come parlare del bello e del brutto, è una opinione e nulla più – mi ha stupito la quantità assurda di voti dati ai partiti che urlano e basta, senza fare controproposte.
Berlusca in primis, seguito dalla Lega, di cui il patron ieri sera alla tv non sapeva nemmeno fare un discorso sensato composto di soggetto-verbo-complemento. Ma poi: di pietro e addirittura i grillini, che oltre a opporsi a berlusconi e lega non hanno praticamente un programma tantomeno delle proposte concrete.
In fin dei conti, son tutti Fascisti. Sta vincendo la politica dell'Urlo.
I voti non vengono più dati in base alle idee e alle proposte, ma in base a chi urla di più alla televisione, ai giornali, ai comizi. Non importa cosa si dice, bisogna urlare.
E arringare le masse.
Urlando.
Il silenzio, la riflessione, non pagano più.
E' democrazia, questa?

Solo due spunti di riflessione.
Il primo, tragico, lo leggo all'interno di un cesso dell'università ogni volta che ho un bisogno fisiologico impellente. Recita: "Ah, le elezioni! Come è bello vedere una massa di passivi che si illudono per qualche mese di pensare di cambiare le cose. E' come guardare un bambino che gioca col suo aeroplano di carta, inconsapevole che non vola davvero."
Temo che un pensiero del genere, per quanto profondo, sia la morte della democrazia.
Dopotutto, "se il voto cambiasse qualcosa, sarebbe illegale"
Il secondo, lo traggo da un commento su un giornale: "Il quesito era semplice, esiste una forza politica parlamentare a cui delegare questo compito e in grado di risolverlo? Vediamo… ovviamente non la destra e i sedicenti partiti centristi che sono in primo luogo i "promotori" (finanziari e no) di una deregulation banditesca, non il Pd che pur proponendosi come riformista in ultima analisi non è stato in grado di riformare neppure se stesso, non Di Pietro col tema monocorde sulla giustizia. In realtà la questione è stata posta correttamente da Saviano (il metodo mafioso) e da "Rai per una notte" sul "consenso". E' di questo che collettivamente si deve cominciare a parlare, volendo si può cominciare"

Tutto questo vale anche nelle realtà minori.
E temo che il problema sia soprattutto quello di mettersi in gioco, uscire dal proprio orticello e iniziare a occuparsi della "Res Publica". Qualcuno lo sapeva, che è dal latino di "cosa pubblica" che deriva il nome della nostra forma di governo, "Repubblica"?

Mettersi in gioco, esporsi. Impegnarsi.
Qualcuno ha pensato a cosa ci sarà DOPO la caduta, ormai inevitabile del direttivo veneto dell'associazione di cui faccio parte?
Qualcuno ha pensato a "Chi ci sarà dopo"?
Se vogliamo evitare che certi lazzaroni rimangano a spadroneggiare e a rovinare il nome della nostra associazione a livello di amministrazioni pubbliche e di direttivo nazionale, che ormai ci ridono dietro per non piangere e che cercano di avere a che fare il minimo possibile con noi, bisogna "scendere in campo", per usare un'espressione infelice, esporsi, candidarsi e mettersi di impegno.
E' comodo avere un Duce che pensa e agisce per noi, vero?
Tanto se poi non facesse più comodo, lo si ammazza e si "risolve" il problema.

Le preoccupazioni per le urla restano.
Sia per quelle di propaganda alle quali ci stiamo sfortunatamente abituando, sia per quelle che chiedono aiuto e per le quali iniziamo a essere sordi.
E anche per quelle che non si sentono ancora, per quelle che temi dovrai raccogliere quando qualcuno si sarà rimesso nei guai. Perchè non puoi averne certezza, ma ne hai un sentore fortissimo.
Poi mezz'ora fa, guardando "spider", vedi quella madre assassinata dal marito, e il bimbo che assiste alla scena senza poter far nulla.
Forse era la somiglianza, ma mi son sentito morire. Credo di aver capito la sensazione di quando ti ammazzano un figlio. Anche metaforicamente, intendo.
Già provata, e riprovata. E non posso far finta di nulla, non posso tacere quando qualcuno lo senti e gli vuoi bene un pò come fosse tuo figlio.
Ferlini lo chiama "amore terapeutico" rispetto ai pazienti, lo paragona alla "reverie", quell'affetto indicibile che ha la madre verso il figlio.
Credo che il metro di misura per l'amore tra genitori e figli non ci sia. E ti sento come un figlio da proteggere.

Chissà se arriveremo sulla cima della montagna illesi, chiaccherando del più e del meno come nell'ultimo sogno. Osservando il mondo da lassù, felici per quel che gli avevamo dato, stanchi, ma appagati.