Dolore

Giusto qualche settimana fa mi guardavo attorno e vedevo amici e conoscenti che si disperavano nel porsi di continuo la domanda "che cosa ci faccio qui?".
Non c'è una risposta univoca, ognuno deve porsi questa domanda e trovare la sua risposta.
Io me la sono posta decine e decine di volte, e la mia risposta credo di averla trovata.
Ma ci sono momenti in cui anche l'unica certezza sulla quale ti aggrappi vacilla, e il tuo mondo è scosso terribilmente come di fronte a un terremoto.

L'altruismo.
Il confine tra interesse genuino e ingerenza.
Essere eroi ogni giorno dando tutto quello che si può per gli altri.
Sono queste le questioni su cui mi ritrovo a riflettere ogni istante. Quelle che mi tormentano l'animo, che non mi fanno urlare a squarciagola le canzoni ai concerti facendomi piuttosto pensare, quelle che non mi fanno dormire la notte.
Il vedere persone negare i propri problemi dopo averli ammessi qualche ora prima, la passione per andarsi a infangare sempre nelle stesse medesime situazioni.
L'impotenza, sperimentata come uno degli stati umani più genuini.

"La bugia più grande è guardare… e stare in silenzio."
Tutti talvolta mentiamo. Ma non ho alcuna intenzione di rendermi complice della bugia più grande.
L'indifferenza e il "farsi i cazzi propri" ha già ucciso in passato, e ucciderà ancora. Ho visto troppe persone cadere sotto i colpi del silenzio altrui. Quando invece una parola poteva fare la differenza, poteva destare dal torpore, fare riflettere.
Ma forse riflettere, pensare, decidere, scegliere… sono azioni. Meglio andare alla deriva, lasciarsi cullare dal vento, vivere alla giornata senza alcun progetto per il futuro, senza alcun riguardo per il rispetto degli spazi altrui, senza alcun obiettivo per sè stessi.

Certe parole hanno il potere di uccidere.
Di farti riflettere su tutto ciò per cui hai vissuto finora.
Di mandare in crisi ogni tua speranza per il tuo e l'altrui futuro.
Ti portano a pensare che tutto quello per cui hai lavorato non sia servito a nulla.

E io non ci riesco, a guardare e restare in silenzio.
Fa troppo male vedere vite a cui tieni trasformarsi in esistenze.
E piango.

Il Noi e l'Io

Ci possono essere varie situazioni che uniscono le persone. Spesso sono quelle di difficoltà, momenti di emergenza che portano naturalmente a stringersi l'uno con l'altro, così che nessuno rimanga da solo. Ma anche situazioni più comuni, chiaccherate, o un breve giro in compagnia in cui si condivide la fatica del cammino e la soddisfazione dell'arrivo alla meta.

Questi tre giorni in montagna ci volevano.
La montagna è fatica, ma anche comunione. Da soli arrivare in cima è difficile, ci possono essere momenti in cui le gambe cedono e lo zaino pesa fin troppo. Ma se il cammino è condiviso, il tragitto non è più così pesante, e le difficoltà diventano meno opprimenti.
Momenti come questi sono quelli che uniscono, che riuniscono, che ti fanno capire che siamo qui per un motivo: sorreggerci l'un l'altro nei momenti di difficoltà. L'uomo e l'esistenza umana non hanno senso nel puro e semplice Io, ma solo in un più articolato Noi.

Ma questa breve parentesi di condivisione collide con la realtà di tutti i giorni, che è affiorata col suo carico di egocentrismo pure durante il cammino.
Mi ha sconvolto udire alcuni richiami al pensare di più a sè stessi, a mettersi al centro del proprio universo. Ma la rivoluzione copernicana non ha insegnato nulla?
E' spontaneo mettersi al centro dell'universo, per ogni essere vivente. Quello che ci rende umani è delocalizzarsi, mettersi in periferia di un sistema che non ha centro, che è un sistema di continuo equilibrio tra tutti gli individui.

L'Io non può prendere il posto del Noi. Ne è una parte, ma se lo sostituisce, il mondo cessa di esistere. E l'ultimo uomo sulla terra si condanna alla solitudine e alla morte.

Certo, senza dimenticarsi di sè stessi. Il Vangelo lo ricorda: "Ama il prossimo tuo come te stesso". Non di più, non di meno, ma COME te stesso. Sullo stesso piano. Siete uguali.

E poi, l'esegesi del Sè. Il voler essere a tutti i costi al centro dell'attenzione, il pretendere di sapere le cose anche quando non si sa nulla dell'argomento, solo per sentirsi più grandi degli altri. Se poi non ci si riesce, meglio denigrare e prendere in giro l'altro, così da elevarsi sopra di lui…
Mettersi in posa per sembrare i più fighi, protagonisti e artefici di ogni avventura.
Anche quando non lo si è per nulla.

Dispiace vedere che in quattro anni alcune persone non siano cambiate neanche di una virgola, sostengano ancora che la verità e la realtà esistano in modo assoluto e di esserne oltretutto in possesso. Mentre l'altro è un mentecatto e un idiota da denigrare solo perchè la pensa diversamente.
Ciò oltretutto può spiegare perchè tra tali persone ci sia feeling con il "Narciso supremo"… non sono molto diversi, dopotutto. Oppure alcune tecniche si fanno esportare molto bene…

Tecniche che ormai conosciamo bene, o dovremmo conoscere. Di apologia di sè stessi.
Come frasi fatte che riecheggiano spesso, che fanno effetto, colpiscono al cuore, e ti condannano senza speranza a un'ennesima fregatura.

Ma non puoi costringere le persone a salvarsi. Non puoi far capire loro come per magia che si stanno nuovamente infilando nel tunnel…

Pensare che fino a tre-quattro anni fa il narciso supremo non esisteva. Era un recipiente vuoto, una persona che non aveva mai fatto esperienze di vita che per noi sono comuni, ma era dotato di una forza traente pari a quella di un buco nero.
Ha assorbito tutti i peggiori difetti e le migliori furbate di tutti noi, per farne suo uso e consumo personale.
Temo di sapere da chi abbia preso la capacità di abbindolare gli altri… O almeno, di averlo scoperto da qualche settimana. Peccato che tale scoperta non possa servire a nulla, se il destinatario dei tuoi richiami è perso ad ascoltare il richiamo delle sirene.

Vegliare, come un angelo custode.
Ma non so per quanto tempo ancora riuscirò a stare a guardare impotente questo massacro.

Ruoli, scelte e addii

Ormai è un filo conduttore. Mi dedico agli hobby, studio per gli esami di settembre teorie che condivido in parte, affronto quotidianamente le situazioni più comuni e mi ritrovo davanti quelle più strampalate, e tutto mi rimanda in ogni momento al discorso sul ruolo. Quello scelto, e quello che ti obbligano in alcuni casi a interpretare.

Qualche giorno fa c'è stato lo strappo definitivo di Fini dal silvio. La maiuscola e la minuscola non sono casuali…
Gianfranco ha osato, ha reclamato la sua capacità di scegliere da solo, di pensare con la sua testa, di essere dissidente se non si trova d'accordo su qualche decisione. Ed ecco, è stato additato dal duce come un traditore, è stato sbattuto fuori dal partito, fuori dalla casa che anche lui aveva contribuito a costruire. Non mi ritengo certamente di destra, anzi, ma egli ha certamente il mio rispetto e la mia stima.
Ha osato, ha avuto il coraggio di andare contro il suo "dover essere" fedele alla linea del generale.
Ed è stato denigrato, descritto come un traditore, un mentecatto.
Mi pare di ricordare che la stessa cosa sia successa qui, nel mio paesello, circa un anno e mezzo fa.
E mi pare di ricordare come sia andata a finire, per quel ducetto che ha confuso l'amicizia con il servilismo.
Manca poco all'anniversario del nostro piccolo "Indipendence Day". Mi auguro che la storia si ripeta anche nel frangente della politica.

In questi stessi giorni mi sto domandando come ho fatto a nascere.
No, seriamente: la nascita non è solamente un fatto biologico. Le capacità di ragionamento, di scelta, da dove saltano fuori? Da una semplice fusione di due cellule? Dal caso della genetica, dalla fredda logica della chimica?
E il mio coraggio di andare contro, di prendere sberle perchè ho il difetto di pensare e soprattutto di parlare, da dove salta fuori?
Mi viene difficile pensare che possano essere frutto dell'educazione in casa. Il mio modello maschile da bambino lo trasformavo in una pecora, tanto per capirsi. E vedere che oggi, quando ci sono scelte difficili da farsi, si preferisce obbedire piuttosto che portare avanti le proprie convinzioni, limitandosi al massimo a sbraitare senza tregua, non può che rattristarmi.
Credo che in ogni democrazia, e la casa dovrebbe esserne il primo esempio, le decisioni e le scelte debbano essere concordate. Senza che ci sia sempre uno che tace e acconsente, o uno che urla ma alla fine si adegua senza far nulla.
E' possibile, che nella situazione che dovrebbe essere il prototipo della vita comunitaria, la situazione sia invece di chi impone le proprie decisioni, e di chi preferisce passare le giornate a lamentarsi e nulla più? Dove è finito il dialogo, la condivisione, la democrazia?
E' possibile che sia necessario arrivare ad atti estremi per poter riaffermare il proprio diritto a "poter essere"?

Superare i limiti. Certi limiti non dovremmo mai superarli.
Ne va del nostro essere uomini. Salta l'ultima frontiera che ci divide dal mondo animale.
Ma il limite è anche un altro: quello che dovremmo riconoscere riguardo le nostre competenze, quando cerchiamo di riaffermare i nostri diritti.
I nostri, e quelli degli altri.

E' il confine tra l'interesse e l'ingerenza.
E' lecito oltrepassarlo, in alcuni casi?
Secondo me la domanda è sbagliata. Non è "se sia lecito", ma piuttosto "come" oltrepassarlo, senza ledere la libertà altrui.
Da una canzone: "One love, one blood, one life: you got to do what you should"

C'è una cosa, che abbiamo sempre il diritto di poter fare: dire la nostra.
L'altro potrà sempre pensare di buttarsi dal ponte, se proprio lo vuole. Ma può essere che l'ascoltare il parere di un altro lo porti a cambiare idea. Certo, è difficile accettare che una persona a cui tieni voglia fare quel balzo, e finire in un burrone, che tra l'altro ha già visitato molto bene. Ma chi sono io per negargli la libertà di decidere della propria vita?
Oltretutto l'altro può non ascoltare i tuoi appelli. Può fare orecchie da mercante, ritenendoti un ebete, oppure può far finta in buona fede di ascoltarti, rimanendo però della sua idea, accecato dalle proprie emozioni, o peggio da quelle che qualcuno gli ha messo dentro.

In tali casi, la spinta a un'azione di forza è fortissima. Bisogna salvarlo, bisogna impedigli di buttarsi di sotto.
E infatti le autorità varie si prendono il diritto di "TSO", trattamento sanitario obbligatorio. Che poi sia sanitario o meno, è ininfluente… Si limita la libertà dell'altro di suicidarsi. Perchè si presuppone che sia andato fuori di testa, e che la ragione sia altrove.
Gli eroi fanno la stessa cosa. C'è uno che vuole buttarsi da un palazzo, e Mr.Incredible lo salva.
E si piglia una condanna per avergli impedito di farlo.

E allora, fermarsi o andare oltre, sperando che un domani l'altro capisca?
Tale scelta è un nostro atto di libertà, nel momento in cui ci accorgiamo che l'altro sta facendo una cazzata enorme.

Come posso stare a guardare una democrazia sfaldarsi, disintegrarsi sotto il bombardamento mediatico, e rimanere fedele al mio signore e padrone, leader indiscusso del mio partito, senza nemmeno riprendermi il diritto di dissenso?
Come posso stare a guardare una famiglia annientarsi, sotto il peso di alcune decisioni pesanti da prendere, sotto il peso di alcune situazioni che si decide di non affrontare per non creare dispiaceri, lasciandola agonizzare fino all'inevitabile fine, senza provare in tutti i modi a far comprendere che avanti così non si può andare?
Come posso stare a guardare amici che si buttano in avventure che sanno già come andranno a finire, che dovrebbero aver imparato a gestire proprio per le pedate già prese, senza nemmeno metterli in guardia di fronte all'imminente fregatura che stanno prendendo?

Sono situazioni precise quelle a che ho in mente. Non c'è alcuna generalizzazione, se non nelle parole.

Il fatto è che comincio ad essere stanco. Stanco di fare l'unica cosa che posso fare senza ledere la libertà altrui, cioè parlare.
Specie se non si è ascoltati, specie se vedo che si viene rapiti dal lato emotivo e quel "grano salis" proprio non lo si vuol usare.
E di fronte a tale situazione, e a tale esaurimento di risorse, le alternative si riducono a due. Agire di forza, o allontanarsi da quelle persone che si fanno male e mi fanno quindi star male, lasciandole a loro stesse.

Non è una scelta facile. Sarei propenso per la seconda, ma il legame con loro mi riporta alla prima.
Ad alcuni mollerò un sonoro ceffone, sperando in un brusco risveglio. Altri li saluterò definitivamente.