Tesi di laurea… Emozioni… e Vita
Più di qualcuno mi ha chiesto di cosa parli questa benedetta tesi di laurea che mi ha portato via mesi se non semestri di vita, e che in particolare mi ha fatto patire nelle ultime settimane di settembre.
Bè, è un pò complicato spiegarla in due parole, però ci provo. Vediamo cosa riesco a spiegare con un linguaggio da "uomo della strada" – che poi è la cosa che mi riesce meglio, secondo qualcuno.
La mia tesi tratta del lavoro emozionale dei volontari di Protezione Civile, partendo da una ricerca svolta nel contesto del terremoto dell'Aquila del 2009. Ora… lasciando da parte tutto ciò che ho vissuto e raccontato su quei mesi… cos'è sto "lavoro emozionale"?
E' un concetto più semplice di quanto si pensi.
E' quell'impegno richiesto per ridurre una dissonanza emozionale, cioè quella differenza percepita tra le emozioni provate di fronte a un determinato oggetto, persona o situazione che sia, e le emozioni che sono reputate corrette secondo la norma sociale inerente a contesto e ruolo rivestito.
Troppo difficile? Facciamo un esempio terra terra…
Un esempio di dissonanza emozionale è riscontrabile ad esempio in professioni nelle quali il contatto con l'utenza è fondamentale, come il maitre o la cassiera, per non parlare del medico o dello psicologo, ottimi esempi per le professioni di aiuto. Metti che questi si alzi con la luna storta, che abbia litigato col partner o abbia semplicemente un gran mal di testa.
Può incavolarsi e rispondere sgarbatamente al paziente?
Può odiare il proprio capo perchè gli fa richieste impossibili da soddisfare?
Può sbattere fuori dall'hotel un cliente rompiscatole, che l'ha insultato e messo in difficoltà magari davanti a colleghi e altri clienti?
La risposta è semplice: NO.
Una risposta così semplice e scontata da risultare banale. Non ci poniamo nemmeno la domanda "perchè bisogna far così?" Oppure possiamo porcela, e risponderci "è una norma aziendale, altrimenti perdi il cliente, altrimenti vieni licenziato", ecc…
Ma con domande e risposte così non ne usciamo. Perchè è una problematica che investe anche contesti nei quali queste prescrizioni non sono scritte, non si è obbligati da nessuno a rispettarle. Come ad esempio il volontariato.
Il volontario può scattare in piedi, mandare letteralmente in mona assistiti, colleghi e perfino superiori, come anche prendere e mollare l'attività di punto in bianco senza ripercussioni economiche o fisiche.
Sono le norme sociali che lo spingono a nascondere la propria rabbia, la propria frustrazione, le proprie paure, e talvolta anche l'amore, il calore, la propria gioia.
Ricopre un ruolo, scelto, e non può disattendere ciò che gli altri si aspettano da lui. Che è poi anche ciò che lui si aspetta da sè stesso. Se lo facesse sarebbe esiliato dalla comunità, almeno in senso metaforico. Sarebbe estromesso dal ruolo, e perderebbe anche la fiducia in sè stesso e nelle proprie capacità.
Ma adattare le proprie emozioni alle richieste emozionali di un ruolo non è impresa da poco. Comporta uno sforzo spesso immenso, per nasconderle o per modificarle. Ecco cos'è il "lavoro emozionale". Una impresa per ogni volontario, per ogni lavoratore, per ogni operatore di settore.
Mai sentito parlare di "burnout"?
Ecco, il lavoro emozionale negativo può sfociare in burnout, o comunque accelerarne e peggiorarne il decorso.
Puoi scoprirti demoralizzato, depresso, senza più energie nè voglia di andare avanti, desideroso di mandare al diavolo tutto e tutti.
Puoi provare cinismo, depersonalizzazione, fastidio per il mondo.
Ecco… qui si fermano le considerazioni negative. Perchè il lavoro emozionale può essere indispensabile per stare nel mondo assieme agli altri. Ma può essere svolto non solo in solitudine, che è la modalità che può portare a conseguenze negative ma nelle relazioni con gli altri. Strategia questa che riduce di molto tale rischio.
Avete mai notato come dopo una grande incazzatura si cerca qualcuno con cui parlare?
Come dopo una litigata si cerca spesso di riconciliare e rimettere assieme i pezzi? E ci si scusa anche di ciò che si è certi di aver provato, ma tale dietrofront così radicale è pure percepito come piacevole? Se non è "lavoro emozionale" questo…
E qui termina lo spazio che ho deciso di dedicare alla mia tesi. Perchè parlare di LAVORO EMOZIONALE senza tirare in ballo le difficoltà di questo periodo è impossibile. Ne va della mia VITA. Ne sono eroso, in questo momento.
E' proprio la RETE DI RELAZIONI che manca in questo periodo.
Mi rendo conto che la gran parte delle persone che ho attorno sono per me spettri inconsistenti. Ci sono quando è ora di far festa, di divertirsi, quando non vi sono alternative al trovarsi e stare assieme… ma non quando le necessità si fanno più profonde, quando il malessere ti avvelena l'anima notte e giorno.
Non ci si cerca perchè si prova piacere nello stare assieme. Ma si prediligono alternative di ogni genere. E quindi la sensazione di essere una ruota di scorta diventa una realtà.
E' pesante, lo so. E temo non riguardi solo me. O che almeno tale consapevolezza presto o tardi contagerà qualcun altro.
E poi… per tornare alla "norma emozionale"… la MALEDETTA MORALE.
L'ultima cosa che vorresti sentire in momenti come questi.
Il dover fare qualcosa non perchè ne sei convinto, ma perchè "si fa così", perchè "è giusto così". "Forse ma forse ma si"????
Ma chi mai l'ha detto? Ma chi mai ha scritto queste cazzo di regole?
Chi cazzo si può permettere di decidere a priori cosa è giusto, cosa è sbagliato, cosa va fatto e cosa no, chi ritenere affidabile, chi scartare perchè ti sta sui coglioni, chi mandare al diavolo perchè ti ha trattato ripetutamente di merda, chi ricambiare con la stessa moneta, chi amare?
Per citare Nick, "Nde in cueo tuti quanti"!! E lo rivolgo di cuore ai falsi moralisti, a quelli che ritengono di avere la verità o il verbo in tasca. Maledizione, se avessi in mano una padella ve la sfonderei, quella testa piena di voi stessi che avete!
Ecco… queste sono le mie condizioni attuali.
Sono stanco, demoralizzato, depresso a tratti.
Incazzato. Cinico. Fastidioso come una cimice che ronza in camera in piena notte.
Sono sfinito. Vorrei riposare, ma nemmeno il tempo mi è alleato. Le lancette corrono, implacabili.
E, nonostante tutte le persone che ho intorno, mi sento SOLO. Costretto ad affrontare il mio lavoro emozionale di tutti i giorni in totale solitudine. Perchè non ho a fianco le persone di cui davvero ho bisogno. Ma amici per i quali sono un perfetto sconosciuto.
Vi prego, almeno non tediatemi ancora con la morale del giusto o sbagliato, del "si fa così", delle "conseguenze negative se fai cosà". La conosco fin troppo bene, mi ci avete sfondato i timpani e i coglioni, ma c'è bisogno di dare un taglio netto a questa mania del quieto vivere. Voglio poter prendere le mie decisioni e fare le mie scelte in totale libertà, rispondendone solo a me.
La morale… può baciarmi le chiappe allegramente.