Conflitto e coesione

Mi domando se il conflitto sia evitabile. O se lo cerchiamo e basta.
Mi chiedo come si ponga questo in relazione alla coesione tra le persone e al loro essere come individui singoli.
Ci rifletto da quasi un mese ormai, e sto giungendo alla conclusione che siamo allo stesso tempo sia gli artefici della guerra quanto della pace, dell'essere gruppo quanto dell'essere individualmente disgiunti.

Lo vedo nel macroversante della politica e della vita collettiva. Ognuno pensa al suo orticello, finchè siamo in pace. Poi uno inizia a pensare troppo al proprio tornaconto, e finisce per coinvolgere nei suoi interessi anche un altro, poi un altro ancora, e così via. Si viene a creare una fazione interna alla collettività, che tende a definire e distinguere il noi dal loro, escludendoli e tacciandoli di eresia e di malignità. Facendo i propri comodi a discapito degli altri, e non più semplicemente ignorandone la presenza.
A quel punto gli altri non riescono più stare a guardare. E intervengono nella vita della nazione, sentendosi di nuovo tutti uniti per un obiettivo, dichiarandosi "altro" da tale fazione ma reificandone di fatto un'altra.
E la guerra ha inizio, per abbattere la tirannia e la dittatura, per far trionfare la democrazia. E la storia, ovviamente, la farà chi vince, delineando gli estremi di un nuovo periodo di pace.
Pace che sarà però temporanea. Non appena qualcuno inizierà a pensare al proprio tornaconto, e a coinvolgervi qualche altro, a discapito del resto del mondo, il ciclo ricomincierà dall'inizio.

Lo vedo nel versante, già meno esteso, della vita associativa.
Ognuno pensa ai suoi affari, ritiene che la vita associativa in sè non lo riguardi. Poi salta fuori il ducetto di turno, che per i propri interessi pretende di piegare l'intero gruppo al suo volere e alle proprie necessità. A questo si unisce un altro, e poi un altro ancora, e il risultato è che si va, come sopra, verso una guerra, che crea paradossalmente coesione tra tutti gli altri soci, tutti uniti nell'obiettivo comune di abbattere il duce.
E ci riescono, fortunatamente, nella maggioranza dei casi. Ma poi, di nuovo, tutti per i cavoli loro, senza pensare più al bene della collettività, dimenticandosi di quel periodo che li ha visti tutti uniti a combattere per un ideale.
In attesa che tra questi spunti un nuovo capetto, a scatenare un nuovo conflitto, una coesione, una vittoria, fino a un nuovo ritorno alla condizione singolare.

L'ho visto, l'ho vissuto e lo vivo nel ramo delle amicizie.
Ognuno guarda al proprio tornaconto, si fa gli affari propri e considera lo stare insieme solo collaterale e funzionale al proprio bisogno di staccare la spina della routine settimanale per un paio di giorni di totale relax. Coesione zero, voglia pura di stare insieme zero. Lo si fa solamente per non stare soli.
Ma ecco! Il tornaconto di uno diventa così importante da rischiare di fagocitare l'interesse dei molti. E tra questi molti alcuni non ci stanno, si creano sottogruppi e via di battaglie.
Non importa chi vince, non importa chi perde. Ognuno è convinto di quel che fa, i morti nelle guerre sono inevitabili e per certi versi addirittura funzionali.
Ma poi, cosa rimane? Il risultato certo, prevedibilissimo, è che terminato il conflitto ognuno se ne andrà per la propria strada, e di quell'essere gruppo, che tanto aveva fatto sentire uniti gli uni e gli altri nel perseguimento di un'obiettivo comune, cioè l'abbattimento della tirannia, non rimane che il ricordo.
Per alcuni un ricordo come un'altro, per altri nostalgia.

Nostalgia, per me.
Nostalgia di quel sentirsi uniti, di quell'essere insieme che completa il proprio essere singolari. Di quel cercarsi anche senza un motivo logico, solo per il semplice fatto di desiderare di stare insieme. Del desiderio di sentirsi gruppo.

Possibile che ci debba per forza essere sempre un "qualcosa" di esterno che obblighi le persone a riunirsi? Possibile che debba essere smentito l'assioma che l'esistenza umana è principalmente plurale, e solo secondariamente individuale?
Possibile che dobbiamo ricorrere a conflitti e guerre cicliche solo per recuperare quel senso di unità che dovremmo invece desiderare quotidianamente? Ma a questo punto sono solo i fini belli e buoni che muovono il nostro riunirci?

Forse ho solo scoperto l'acqua calda. Ma è una doccia fredda.
Se davvero fossimo sempre uniti, e l'interesse fosse sempre diretto verso il gruppo in sè e mai verso i nostri soli desideri individuali, questo discorso non starebbe in piedi.
Eppure in piedi ci sta… è questo che mi demoralizza.

Nel proprio orto

Ci sono momenti in cui prendere posizione è un'opzione. Personale.
Ce ne sono altri in cui il non prendere posizione è una scelta che coinvolge non solo sè stessi.
Ma siamo sicuri che la prima delle due scelte è possibile?

Da qui… le riflessioni possono essere infinite. Specie guardando la nostra società nel complesso, ma anche soffermandosi nel dettaglio delle esperienze di ciascuno di noi.

Possiamo starcene nel nostro orticello, perchè ci sta bene non doverci occupare della "res publica", delle faccende che escono dalle mura domestiche e che, in quanto tali, non sentiamo nostre. Va bene, è una scelta. Dopotutto non sta scritto da nessuna parte che "tocca a noi".
Possiamo uscire dall'orticello, occuparci di tutti i fatti altrui, perchè all'interno delle nostre vite c'è il nulla assoluto e sentiamo quindi l'impulso irrefrenabile a riempire tale vuoto. Gossip a go-go, chiacchere alle spalle e diffusione di opinioni come fatti. Lo fanno in tanti…
Possiamo anche guardare all'esterno, decidendo di non intervenire, e comportarci come al grande fratello, dove si segue con infinita smania le avventure di quattro scimmie rimanendo comodamente seduti in poltrona. E immaginandosi al loro posto. Anche questa è una possibilità, e pure molto gettonata secondo le statistiche di Mediaset Premium.

Ma c'è anche un'altra scelta. Quella di essere dissidente.
Ma non dissidente per partito preso, o nelle proprie idee. Dissidente verso l'indifferenza.

Quello che accade all'altro non è mai solo un problema suo.
Spesso ci riguarda. Direttamente o indirettamente.
Indirettamente perchè, se non altro, l'altro è un essere umano. E tra esseri umani, dovremmo essere sempre solidali.
Direttamente perchè questioni che sentiamo lontane, come ad esempio quelle politiche, ci coinvolgono spesso. Le decisioni che vengono prese nelle varie assemblee di cui facciamo parte, da quella parlamentare a quella delle associazioni a quella degli amici, riguardano anche noi.
E solo per questo dovremmo prendere posizione, non lasciare "al caso" le scelte. Anche perchè in tali casi, il "caso" ha nome e cognome.

Ma non solo.
Quando possiamo prendere delle decisioni e non lo facciamo, coinvolgiamo spesso in tale vortice di indifferenza qualcuno. E quel qualcuno è sempre il più debole.
Quello che non può o che non sa difendersi.
Che si oppone, che si schiera contro e che casomai lotta contro la propria sopraffazione, ma che si trova a combattere anche contro una moltitudine di indifferenti che, non facendo appunto nulla, avallano lo stato delle cose e l'opinione di colui che urla più forte, condannandolo a morte.

Non possono che riecheggiarmi le parole di Antonio Gramsci:
“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti."

Ci sono però due rischi.
Quello di trasformarsi, nel tempo, in indifferenti.
E quello di trasformarsi nelle persone che si vogliono combattere.
Per quello credo che cercare di combattere l'indifferenza e le dittature, presenti con vari sinomimi in tutti gli ambiti della nostra vita, sia uno dei più grandi e pesanti fardelli di cui ci si può sobbarcare.
Ma non per questo bisogna cedere. Non per questo non bisogna tentare.
E proprio per questo non bisogna essere soli. Solo l'essere, democraticamente, insieme può farti rendere conto in tempo dei tuoi sbagli, dei rischi che si stanno concretizzando in scelte, delle possibili derive e trasformazioni che ti coinvolgono.

E se diventi come il dittatore che tenti di spodestare… cosa ti distinguerà poi da lui?
Cosa ti permetterà di dirti "buono" e di additare come "cattivo" l'altro?
E come potranno le altre persone distinguervi, una volta diventati identici?

Come mai queste riflessioni? Cosa avrà mai scatenato tali pensieri?

Questi pensieri ci sono da sempre. Solo si stanno riordinando piano piano.
Gli eventi della vita di tutti i giorni non fanno altro che da catalizzatori.
A partire da quello che successe ormai un anno e mezzo fa nella compagnia, e che anzi a ripensarci meglio era iniziato alla fine del 2006. Passando per le questioni legate al volontariato, in cui spesso si maschera il proprio bisogno di protagonismo in falso altruismo. Passando per le vicende del direttivo regionale della mia associazione che, capitanato da quattro mentecatti che hanno deciso di impadronirsi della stessa, sta trascinando nel baratro tutta la baracca. Fino infine ai tanti altri esempi recenti, dal vedere amici che impongono il loro volere ed altri che fanno gli indifferenti noncuranti che le scelte riguardano anche loro, al cadere dallo scooter rompendomi una spalla non ricevendo aiuto da alcuno, nonostante alcune persone passassero di lì in quell'istante.

Ma a chi tocca cambiare le cose?
E' possibile essere davvero uomini, se non si è in fondo un pò "partigiani"?

Non aspettiamoci che qualcuno faccia le cose al posto nostro. Facciamole noi.
Insieme, TUTTI assieme, senza escludere alcuno, in modo davvero democratico.

Solo dando l'esempio possiamo sperare che l'indifferenza altrui venga meno.
Solo impegnandoci in prima persona possiamo cambiare le cose.
Senza alcuna violenza, e senza indifferenza.
Perchè l'indifferenza è violenza. Ne uccide più l'indifferenza che la spada.

Non è la "mission" di un eroe. E' la Vita di ognuno di noi.