Cambiamenti irradicali nelle rivoluzioni copernicane

I giorni passano, i mesi passano, cambiano gli ambienti, i contesti, cambia la città, cambiano i contatti con alcuni amici… Insomma, è cambiato un pò tutto il mio mondo in queste ultime settimane. Riesco a pensarci a mente lucida solo in questi giorni, dopo che le emozioni forti han lasciato il posto alla ragione, per quel poco che è possibile ovviamente.
Cosa resta del tempo trascorso a Padova? Dell'esperienza iniziata nel 2008, sull'onda della crisi delle amicizie locali danneggiate ma non distrutte dall'incursione di narcisi senza speranza, e della ricerca di novità e di noità sconosciute precedentemente?
Resta talmente tanto che è difficile descriverlo. Resta talmente tanto che è difficile pure tentare di elencare tutte le esperienze e le persone che mi hanno accompagnato per un periodo che per me è stato di crescita personale come forse poche altre fasi della vita.
Restano i ricordi. Quel sentire dolceamaro che caratterizza la fine di ogni genere di relazione. Già, perchè quello che mi manca non è quella casa, è tutto l'intreccio che di lì abbracciava tutta la città. Resta la diversità quasi incolmabile tra quello che ero e quello che sono. Sempre più distante da quel ragazzino che ricordo bene come fosse ieri, ma che mi sembra ogni momento più alieno.
Ho lavorato per anni sui difetti, non era nemmeno necessario mi fossero attribuiti tanto li vedevo chiari quando mi guardavo allo specchio. Ed è un'attività per nulla terminata, ma del cui risultato mi posso finora dire soddisfatto. Mi sono ritrovato poliedrico, più aperto, ho riscoperto il valore della riflessione, dell'apprendimento, dell'ammettere ogni proprio errore e debolezza senza considerarli delle macchie indelebili da nascondere a chiunque. E non posso immaginare cosa mi riservi il futuro, ma sono sfacciatamente ottimista, un punto di partenza ben distante da quel vedere "tutto nero" dei primi anni 2000.

Rimangono aperti degli interrogativi. Sono io, l'illuso, il mona, il babbeo che si ostina a ritenere fondamentale il confronto, l'ammissione dei propri limiti e dei propri sbagli, della propria umanità?
Negli ultimi mesi, come credo mai prima, ho incontrato talmente tante persone convinte di avere la verità in tasca che questo dubbio vacilla. Sono io in errore? Sono davvero un cretino a considerare inesistente il vero, poichè sempre frutto di considerazioni umane e quindi fallaci? Sono davvero un pervertito a considerare inconoscibile la realtà oggettiva, poichè sempre e comunque sotto il filtro della mente dell'uomo?
E non pecco forse anche io quando prendo di petto l'arroganza, il non mettersi in discussione, il ritenersi detentore del verbo, comportamenti questi che vedo continuamente attorno a me?
Certo però faccio una fatica spaventosa a sopportarli. Li vedo come uno dei peccati peggiori di cui ci si possa macchiare, poichè alla base di ogni altra possibile malefatta. Gli anni trascorsi a studiare psicologia hanno tentato di insegnarmi che queste strategie sono necessarie ad alcuni per proteggerli dalle proprie debolezze, ad altri per soddisfare il proprio gigantesco narcisismo, ad altri ancora per sentirsi al centro dell'attenzione. Ma forse sono tutte facce della stessa medaglia. O forse no, non spetta a me giudicare, altrimenti torno al punto di partenza.

Ma non riesco a rimanere impassibile un minuto di più quando vedo chi ritiene di essere il più figo, di essere il migliore, di potersi permettere di scegliere per gli altri e di ritenere ovvio l'essere pure lodato per questo, di giocare con i sentimenti altrui frequentando più partner allo stesso tempo – ovviamente l'uno all'insaputa dell'altro – e ripudiandoli quando non più necessari, per poi tentare di riprenderseli quando si rendono conto di essere tremendamente, e umanamente, SOLI.
Si circondano di persone più deboli, o meglio, più ingenue, che nella loro ingenuità e bonarietà amano essere guidate, istruite, soldati al servizio di parodie di generalissimi, che si lasciano convincere a seguirli in tutto e per tutto, che hanno quasi bisogno morboso di un maestro da servire e riverire.
Per non parlare poi di coloro che si inventano movimenti, liste elettorali e sedicenti partiti innovatori che altro non fanno che proporre ogni volta la stessa minestra trita e ritrita, ma che risulta appetibile ai quei sempliciotti che necessitano di un DVX cui offrire la vita nella Guerra di Libia. Che fondano decine di spazi sul web, inviando richieste di adesione quasi quotidianamente, per farcirti poi la mente di slogan quali "Sappiamo cosa è giusto, sappiamo cosa è sbagliato, siamo una luce di speranza"
Manca solo che fondino una religione, tanto si considerano perfetti. Ah, dimenticavo, ovviamente ne sarebbero le divinità.

Vedo la riproposizione di quanto affrontato due anni fa ormai. In un periodo, questo, nel quale ancora pensavo che non vi potesse essere un qualche cambiamento nella mia cerchia di amici, costretta a riverire un Dio, ridotta a una comunità di credenti dalla quale gli eretici dovevano essere cacciati, anzi arsi sul rogo delle infamie gratuite.
E per fortuna mi sbagliavo. E quanto son contento di essermi sbagliato.
Io la mia parte l'avevo fatta, toccava agli altri. Non credevo fossero capaci di destarsi da quella letargia. E invece… quanto ho gioito nel vedere le persone a cui tenevo riprendersi la propria Vita. Svegliarsi da quell'esistenza limitata dal torpore.
Credevo che il vaccino fosse eterno. Ecco, altro errore. Non posso gioirne stavolta, tale mia speranza era troppo grande. Ho l'impressione invece che si debba essere sempre circondati di individui-dio, quasi a ricordarti che sei solo un uomo, fallace, e che se vuoi essere un punto di riferimento per qualcuno devi andar fiero del tuo essere semplicemente umano.
In quei giorni di festa mi considerai un soldato senza più guerre da combattere. Oggi penso che forse invece non vi sono soldati, non vi sono nemmeno battaglie, ma è un'unica lotta contro la semplice esistenza. Per conquistarsi il proprio spazio, ma soprattutto per permettere ad ognuno di riappropriarsi della propria Vita.

Ho l'impressione che potrò riposarmi solo tra – spero – molto molto tempo. E che quel riposo sarà l'ultimo.
La speranza ora è di non fare questa parte del viaggio in solitaria. E mi auguro proprio che questa mia fiducia non si riveli, anch'essa, uno sbaglio.