Elogio della complessità

Ultime ore di questo 2012. Un anno strano, per certi versi è stato dirompente, per altri avvilente, ricco di esperienze distruttive, di molte altre costruttive. Strano perchè ho l’impressione che si cerchi di enfatizzare gli aspetti negativi e ignorare quelli positivi, quasi che si voglia veder nero, in una sorta di depressione riduzionistica.

Ma in queste ultime ore, mi riecheggia in mente un’espressione, secondo la quale pare ci siano tre argomenti di cui è inutile discutere: politica, sport, e religione. Non ricordo di preciso dove io abbia udito queste parole, paradossalmente è probabile che l’ultimo dal quale io le abbia ascoltate sia un sacerdote durante un’omelia. Il che è tutto dire.
E al contempo, saranno mesi che mi frulla in testa la frase che ho scelto come titolo. Anche qui, mi sembra di non esserne l’autore, tuttavia incarna decisamente lo stile nel quale ho cercato di vivere quest’anno, gli anni passati, e che mi prefiggo per i prossimi.

Credo che il punto non sia tanto l’argomento in sè, ma quanto arrivare a considerare le proprie idee perfette per sè stessi, per poi pretendere di imporle agli altri. Quasi fosse un credo, cosa che va ben oltre la propria fede religiosa. Probabilmente è nel momento in cui la fede diventa un credo che si diventa degli invasati, e questo per ogni altro aspetto della propria vita, per ogni altra personale idea: da quale marca di computer sia la migliore, a quale compagnia telefonica sia davvero conveniente, a quale spiegazione della psiche umana sia la più vera, scientifica, completa.
E di qui anche alle persone che abbiamo davanti: lui è brutto, l’altro è bello, lei è intelligente, no è una oca giuliva.

Sempre il riduzionismo. Il mio chiodo fisso. Anche quest’anno mi guardo attorno e non posso non pensarci. Il non riuscire a cogliere la minima sfumatura di grigio, forse per pigrizia, forse per necessità. E come sia più semplice portare avanti un’idea della quale si è fermamente convinti senza voler neanche porsi il dubbio che possa esservi spazio per qualcosa di differente, non necessariamente migliore, tantomeno peggiore.

Penso a com’ero qualche anno fa, penso a come sono ora. Al percorso fatto, a ogni passo. A ciò che ho lasciato indietro, a chi ho lasciato indietro. A quanta fatica si fa a guardare direttamente il mondo a colori, a guardarsi interi allo specchio, invece che limitarsi a un abbozzo in bianco e nero, senza sfumature.
Penso a quanto mi costa aver scelto di essere così, alla difficoltà di essere accettato in tutti i miei aspetti, di essere accettato perchè mi sforzo di guardare la realtà da quante più angolazioni possibili. Perchè non voglio limitarmi ad esistere.

A quanto possa dar fastidio questo mio modo di essere a chi fa del sistema binario e del narcisimo le proprie bandiere. Non solo per scelta, credo, ma anche per necessità personale, o per risorse limitate.

Sta per iniziare un nuovo anno, e forse si apre davanti a me una scelta. Un pò obbligata, devo dire, tanto che mi chiedo quasi se sia davvero una scelta o se sia un obbligo che sto cercando di mascherare a me stesso.
E in questo mascheramento, voglio essere certo che anche questa fase debba essere vissuta. Tra l’altro, non si tratta di abbandonare, in modo rigido e definitivo, quello che sono, ciò che ho appreso in questi anni, e l’ambito nel quale vorrei esprimermi professionalmente, ma piuttosto di affrontare anche questa esperienza, forse momentanea, forse un pò meno momentanea, e di non dimenticare ciò che sono, e ciò che miro a diventare.

Di fronte alle rigidità del mondo, che mi fanno quasi pensare di vivere assediato in un contesto psicotico, questo è l’impegno che mi prefiggo. E chissà che un domani, guardandomi indietro, non possa trovare un significato non solo a quello che sembra essere un ritorno al passato, ma anche agli eventi difficili vissuti in quest’anno. Senza dimenticare. Niente.

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