L’ultimo insegnamento

Di tutte le persone che si incontrano durante questa vita, sono poche quelle che rimangono impresse a fuoco. Quelle che lasciano un marchio indelebile impresso sulla pelle. Nella mente, nel cuore.
Credo che molte di queste nemmeno ci rendiamo conto di quanto importanti siano fino a che ci sono accanto. Ci accompagnano, ci camminano accanto senza far rumore. Il frastuono interviene quando se ne vanno, quando ci lasciano. Il silenzio assordante.
Quel silenzio che ti angoscia. Che senti l’esigenza di riempire con qualsiasi cosa, che non puoi tollerare.
Ma quel marchio resta. E’ parte di noi. E’ parte di me.

Ora, ripenso a ogni istante di questi trentun’anni. E quei ricordi di quand’ero bambino sono in questi giorni vividi, sono dipinti davanti a me. E scorrono, senza tregua. I pranzi e le cene, le corse in giardino, quel micio nero che si faceva le unghie sul paletto di legno davanti al cancello. La pasta verde e la pasta rossa, la conserva fatta in casa, quel profumo che ricordo ancora oggi e che non ho risentito mai in nessun altro luogo. I mille proverbi che in ogni occasione la facevano da padrone. E miriadi di altre immagini che non potrei elencarle, che non bastano le stelle del cielo a numerarle. E l’ultimo periodo, costellato di deliri, dolori, sofferenza. Ma anche tanto affetto, che sebbene a volte senza parole intelleggibili traspirava in ogni gesto, in ogni parola. In ogni sguardo.

Non c’è elenco che possa tener conto di quanto mi hai insegnato, anche in questi ultimi istanti. Perchè anche quando sembra che non si possa più trasmettere nulla, invece si, qualcosa passa sempre.
E anche stavolta è passato quello di cui avevo più bisogno. L’accettare la mia fragilità, il fatto che quando si è in crisi non si può essere d’aiuto a nessuno. Che stavolta sono io, ad aver bisogno d’aiuto.
Lo sapevo già, ma accettarlo quando ci si è dentro non è altrettanto semplice. Credo che sia anche per questo mettere le esigenze altrui al primo posto che ho scelto la strada che sto percorrendo. Ritenere di essere sempre più forte, di poter reggere il confronto con ogni tipo di sofferenza che ti viene portata dinanzi da chi sta male. Dannato senso di onnipotenza, si maschera, ma sgonfiarlo ed esiliarlo da qui, è maledettamente difficile.
Non sono riuscito a scoppiare fino al momento dell’ultimo saluto. E sentivo che stavo male. Mi rendevo conto che per quanto provassi a star vicino a mia madre, a mia sorella, ero l’ombra di me stesso.
Poi è partita quella canzone, che in qualche modo incarnava tutta l’essenza di un’esistenza piena.
Ritrovarmi a pezzi, incapace di contenere le lacrime, di controllarmi, di dire una parola senza mordermi le labbra fino a sanguinare. E realizzare che sono umano. Forse della specie più debole.

Ora, mi rendo conto di come mi abbia fatto quest’ultimo regalo. Forse involontariamente, certo, ma questa è la mia parte razionale che parla. Che ora è letteralmente in tilt.
Non riesco più a pensare che con la fine della vita tutto termini. Che tutto vada in cenere. Le ultime parole che ha detto mi hanno dato da pensare. Pareva davvero che di là ci fosse qualcosa. E riguardare queste righe che sto scrivendo mi fanno anche sorridere, perchè non sembrano da me. Tuttavia…
Il dubbio c’è. E me lo tengo stretto. Le certezze sono troppo spesso lusinghiere, e al contempo vacue.

In questa giornata, il ricordo di quanto accaduto solamente sei giorni fa è talmente nitido che i miei occhi non riescono a non inumidirsi.
Ma il mondo continua a girare, le persone a incontrarsi, a vivere, ad amarsi.
Guardandomi attorno, mi faccio forza.
Sono rimasto in standby per qualche giorno. E’ normale, direi. Anzi, appresa questa lezione, devo dirmi: per fortuna sono così.
Altra chiave di lettura per comprendere questo mondo. Per accettare con serenità anche quello che è fuori dal comprensibile. Ciò che non ha, e che non potrà mai avere, alcun senso.

Grazie…

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