Emotività e razionalità

Quando è tutto ben definito non vi sono problemi, ogni situazione che si pone davanti viene risolta in un attimo e non ci si rende nemmeno conto della fatica che si fa.
Quando invece la vista è offuscata da una pellicola non perfettamente trasparente, anche la cosa più semplice si rivela un vero e proprio rompicapo.

Razionalità. Sembra così semplice essere perfettamente razionali, calcolare tutto e risolvere ogni cosa nella maniera più logica, quasi come fanno le macchine. Si pone davanti un ostacolo, lo si affronta, si risolve il problema, si continua come niente fosse.
Come a un casello dell'autostrada. C'è, si varca, e si procede. Arrivi al casello di uscita, paghi, lo passi. Niente di più banale. Niente di più automatico.
Spesso è così. Quanto vorrei fosse così.
Eppure, ora che ci penso, quanto son contento che non sia così.
Prevedibilità, logicità… che gusto ci sarebbe a vivere se la strada fosse già segnata in partenza, senza la possibilità non solo di scegliere quale percorrere, ma anche di costruirne una dal nulla?
Se tutto fosse prevedibile e perfettamente razionale, oggi non sarei quello che sono… oggi sarei ancora rinchiuso tra quattro mura a spippolare tra i videoterminali, senza via d'uscita.

Eppure… quanto mi disorienta tutta questa emotività.
Non poter prevedere quanto tempo ci vuole per districare completamente una matassa. Non poter prevedere quante risorse ti sta succhiando. Eppure viverlo, come parte di me, come parte di quello che sono, di quello che voglio essere. Non poter affrontare come vorrei una sfida della vita, non arrivare al risultato che tanto desideravo.
Amen, pazienza, sarà per la prossima volta. Certo, ma quanto è difficile dirlo, quanto è difficile accontentarsi.
Sapevo cos'era la "pseudodemenza depressiva reattiva". Ok, ora l'ho provato anche sulla mia pelle. Sentire che nonostante la fatica di concentrarsi, lo sforzo continuo e ininterrotto, l'aiuto di una amica, non riuscivo a far entrare in testa una inutilissima lista di psicopatologie. Mente non occupata da altro, mente letteralmente sgombra, inattiva. Sensazione bruttissima, quella di non riuscire dove di solito arrivo senza grosse difficoltà.
Ora… lo so, devo accettare questo temporaneo stato, cercare di remarci contro, e tornare a sorridere ogni secondo come faccio di solito. Si, razionalmente è quello che devo fare.
Ed emotivamente? L'emotività c'è, non la controlli, te la cucchi e basta, non ci puoi fare niente.
La voglia di rimettermi in moto, di rimettermi in gioco, di ripartire e tutto il resto, c'è. Ma il motore è stanco, provato, troppi eventi, troppi pensieri in poco tempo. Overflow.
Mi sento sotto scacco. Ho bisogno di tempo, e tempo non ne ho. Il mondo intorno a me continua a correre come al solito, e non posso perdere il treno. Non di nuovo. Sempre ammesso che questo sia il treno che voglio prendere.

Una clinica psichiatrica.
Non ci ero mai entrato, fantasticavo su come fosse, mi vedevo in un futuro forse remoto a lavorarci dentro, a capire cosa ronzasse per la testa delle persone.
Poi ci entri, e ti rendi conto che forse non è tutto, anzi.
Che cosa ottieni a diagnosticare, a capire le persone, se poi il tuo lavoro si ferma lì?
E' questa la direzione che voglio intraprendere?
No. O almeno, se entrassi un una struttura del genere, dovrei letteralmente stravolgerla. E non intendo farmi massacrare perchè voglio cambiare qualcosa che è più statico del sarcofago della centrale di Chernobyl. Col rischio poi di trovarmici dentro anche io, e di arrivare a 60 anni a essere perfettamente inquadrato in una istituzione nella quale mi dovrei riconoscere.
Le conoscenze che sto acquisendo, le esperienze della vita che sto vivendo sulla mia pelle, le esperienze sul campo che farò, le voglio mettere a frutto al massimo.
Non ci si ferma a compilare una cartella clinica. Non ci si ferma a dire a una persona "Lei soffre di depressione maggiore" o "Quella che lei vede di fronte a sè è solamente una allucinazione".
Non voglio ridurmi così. Posso fare di più. Voglio fare di più.
Aiutare chi ha bisogno, anche solo con una mano tesa. Mettersi a disposizione. Sorreggere, insegnare a camminare di nuovo. Indicare la strada per uscire dalle situazioni apparentemente impossibili che la vita ti mette davanti. Fare quel che si può, ma di quello che è possibile fare tutto.

Se non ci mettiamo in questo gioco, se non aiutiamo a vicenda… cosa ci stiamo a fare qui?

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