Reti sociali collusive

E così, non passa giorno che non ci pensi. Sarà perchè vedo ogni giorno orde di persone che stanno male, sarà perchè l’esigenza di essere attivamente di aiuto diventa ogni giorno più pressante, o forse anche solo per l’affetto che provo.
Quello che succede è che inevitabilmente, quasi ogni sera, il discorso cade lì. Tanto che a volte mi domando se sia un problema che vedo solamente io, amplificandolo al di là di quanto sia realmente grave.
Se la sensazione che ci sia qualcosa che non va è soggettiva, credo che sia tuttavia l’unico punto di partenza che si possa avere.
I manuali, la teoria, i criteri, vengono tutti dopo.
E quando tale sensazione è pervasiva, non si riesce, io non riesco, a far finta di niente.

Così, quando penso a lei, non posso non pensare a quanto siano instabili e al contempo intense le sue relazioni, e quanto velocemente possa passare dall’adorare l’amico o l’amica all’odiarla quasi fosse il demonio.
Alla sua convinzione continua di essere sovrappeso, al limite dell’obesità, di non poter piacere
davvero a qualcuno, convinzioni queste che si eclissano totalmente per poi tornare dirompenti, con l’intensità di un incendio. All’impulsività insita in ogni sua azione o pensiero, anche in quelli autodistruttivi che alcune volte ho dovuto ascoltare. Impulsive come le emozioni: rabbia e amore si mostrano abbracciati indissolubilmente. Fusi.
E poi, come non pensare a come viene vista dalle persone che la circondano: dall’uno come il male assoluto, dall’altro, e al contempo, come vittima della cattiveria altrui.

Scissione, idealizzazione e svalutazione, diniego, identificazione proiettiva… paroloni, buttati là dalla mente mezza malata di qualche esperto della mente. Perchè chi fa ‘sto lavoro, un pò fuori di testa lo deve essere per forza. Però, se non ti soffermi troppo sulle parole e cerchi piuttosto di leggere il mondo, lasciando la teoria sullo sfondo, allora forse un ragno dal buco lo riesci anche a levare.

E quando penso a lui, beh… comportamenti al limite del delirante, ai quali vengono date spiegazioni ben oltre il limite dell’inverosimile… discorsi che sembrano non avere un filo logico, che se fino a qualche tempo fa erano solamente eccentrici, ora trasmettono un’angoscia esplosiva. Angoscia che circonda quel senso di disinteresse, lontananza e assenza, quasi fosse un mondo svuotato dalle emozioni, che trasmette quando è accanto a me. Sfuggente, saltellante qui e lì, anche nelle occupazioni, come in fuga dal mondo, dai pensieri. Un movimento forsennato come per uccidere il pensiero, per seppellirlo sotto il vuoto. Come se il mondo non esistesse più.

Un quadro sintomatologico che se a uno specialista terzo può far pensare direttamente a una diagnosi infausta, a me fa solamente rabbrividire.
Perché il legame affettivo mi fa disperare, e arrabbiare come una bestia al contempo. Talmente arrabbiato che mi domando quando mi manchi per andarci di nuovo io, in analisi.

E quello che mi fa incazzare senza sosta è la mancanza totale di una rete sociale di supporto efficace.
Perchè non ha alcun senso gestire senza un pensiero, senza un progetto, difficoltà di questo genere.
Non uso il termine malattia perché non ce la faccio. E’ troppo doloroso.
Ma non riesco a rimanere immobile ad assistere all’autodistruzione di persone a cui sono così fortemente legato. A cui voglio così bene. In particolare se vedo che gli astanti stanno cercando di spegnere le fiamme utilizzando benzina.
Una rete sociale totalmente collusiva. Che, pur nella convinzione di aiutare, non fa altro che colludere col problema, riproponendo le condizioni e le risposte a cui sono abituati, portandoli infine a ripetere all’infinito i medesimi cliché.
Il mondo ruota, ma se facciamo così siamo tutti fermi sempre allo stesso punto. O meglio, la storia si ripete, come se il tempo si fosse fermato. Come congelato alle 5:02 del 22 aprile.
E coloro che non hanno ancora capito che cavolo stanno combinando in buona fede, nonostante glielo abbia ripetuto in turco e aramaico, li prenderei a mazzate con il mio fido randello in ghisa.

Sono arrabbiato. Perché mi sento totalmente impotente.
Da solo non posso fare nulla, e ho l’impressione di essere l’unico pazzo che ode grida di aiuto, deriso da chi non tende l’orecchio perché ha la musica o la partita del sabato sera a palla sulle orecchie. O perché semplicemente si fa i cazzi suoi.
Va a finire che, a forza di farsi i propri cazzi in ogni dove, il resto del mondo schiatta e si resta da soli. Tanto poi schiattate pure voi. E da soli.
Mi domando quando ancora dovrò ascoltare questo silenzio assordante, con le urla di chi amo in sottofondo.

Comunicazioni distorte

Ultimamente mi sono imbattuto in un interessante articolo sul numero di agosto di M&C, che pone il problema dell’irrisolvibilità apparente di alcuni conflitti, come quelli sociali o morali. Questi potrebbero essere frutto di una comunicazione distorta, che immobilizza il processo dialogico impedendo ogni soluzione che non si concretizzi in un “io vinco, tu perdi”.

Ecco un elenco di modelli comportamentali tipici nelle patologie comunicative in famiglia e nel dibattito pubblico:

  1. Il discorso è dominato da persone appassionatamente sicure delle proprie opinioni. Chi ha punti di vista complessi o poco chiari non trova spazio e tende a rimanere in silenzio.
  2. I gruppi di interesse più vocali presentano sè stessi come i difensori di valori e obiettivi fondamentali e raffigurano i loro avversari come soggetti non affidabili, che perseguono scopi egoistici e distruttivi.
  3. Interruzioni, accessi d’ira e attacchi personali sono considerati non solo normali, ma segno di un confronto genuino. Regole che tendano a limitare gli aspetti di bagarre del dibattito sono viste come artificiose imposizioni e restrizioni della libertà di espressione e di pensiero.
  4. I partigiani degli opposti punti di vista concentrano la loro attenzione su tutti gli aspetti e i fatti che rafforzano le proprie tesi e viceversa su quelli che possono essere usati per denunciare la falsità, infondatezza e malafede delle asserzioni altrui.
  5. Si fa ampio uso di frasi fatte, slogan ed espressioni che semplificano i problemi e li presentano in modo dualistico; i si e i no, i pro e i contro. Frasi ed espressioni con significati ambigui, percepibili come ammiccanti o minacciosi da pubblici diversi.
  6. Le domande genuine, non retoriche, sono assenti; gli assunti relativi alle intenzioni, ai valori e comportamenti degli avversari, sono dati per scontati. Indagare se si è capito bene è considerato uno spreco di tempo.
  7. Emergono pochissime nuove informazioni, il dibattito è ripetitivo all’infinito, centrato sul ribadire in modo martellante verità indiscutibili e apodittiche.

Tutto ciò fa riflettere… su molti dei conflitti che posso osservare attorno a me. Nelle associazioni di cui faccio parte, nella cerchia di amici, al lavoro, a volte anche in famiglia. E in generale nel contesto nel quale sono inserito. Il quadro che si pone davanti ai miei occhi è molto deprimente.
Provate. Immaginate una situazione conflittuale che vi riguardi. E provate a verificare se la controparte mette in atto questi meccanismi. Poi, immaginate che l’altra persona stia facendo il medesimo esercizio.
Credo che rimanendo in queste posizioni, non si possa proprio arrivare da nessuna parte.

Paralizzato

Arriva quando meno te lo aspetti. Ed è una bomba, rimani a bocca aperta.
Non puoi crederci. Tutto sembra perdere un senso, non lo capisci più se c’è o meno un senso.
Il mondo crolla, presto il mondo per come lo conosci potrebbe non esistere più.
E’ come una sirena che ti avverte che stanno per piombare su Londra tutti i bombardieri della Luftwaffe.
E ti viene spontaneo nasconderti, paralizzato dal terrore, sotto il primo tavolo che trovi.

Paralizzato. Così mi sto sentendo in questi giorni. Giorni nei quali sto cercando di far finta di nulla, perché per me la vita in qualche modo va avanti. Ma non riesco a nascondere del tutto i pensieri, che a tratti mi invadono e mi portano a qualche decina di km da qui.
Paralizzato. Perché non posso farci nulla. Non posso far sparire quel Male dalle persone a cui tengo. Tantomeno da quelle a cui tengo di più.

Sembra strano, una delle persone a me vicine che mi ha dato meno affetto, che rifugge le emozioni e l’affettività come fossero le cose più pericolose al mondo, che ha trasmesso a mio padre questa paura, il terrore che fino alla mia vita precedente è stato anche il modo di essere al mondo… E’ strano che adesso, che siamo agli sgoccioli, senta tutto questo affetto per una persona che fino a poco tempo fa era quasi un’estranea.
Sembra quasi impossibile. E mi rendo conto di quanto c’era sotto la corazza di chi si ripara così tenacemente da tutto ciò che il mondo è.

Ora sono io che mi riparo, che provo a innalzare difese per non sentire a ogni istante la tristezza e il dolore. Che riemergono però inesorabili ogni volta che sono solo, ogni volta che non riesco a tenere impegnata la mente.

Ora sono io che non riesco a non pensare a quanto tutto questo non abbia un senso.
E che mi guardo allo specchio e mi chiedo che senso abbia la vita, se deve finire in questo modo. Se finisce sempre allo stesso modo. Cosa resta, cosa rimane di noi quando la biologia si inceppa, quando la carica dell’orologio raggiunge la fine.
Ti verrebbe da correre, cercare di fare qualsiasi cosa per fuggire da quell’angoscia che tutti prima o poi proviamo. Correre e muoversi senza direzione, talmente in fretta da rimanere immobili. E a quel punto, si… che nulla ha più un senso. Che il tempo si ferma. Che il mondo cessa di esistere.

Sembra quasi un delirio tutto questo. Anzi, la mia parte razionale lo sente come tale.
Ma non è una condizione permanente. Credo anzi che in momenti come questi sia più sano esprimere il proprio dolore nella maniera più spontanea possibile.
E’ razionalizzazione… ma è quello che in questi giorni mi sta dando la forza di guardarmi attorno e di non vedere oscurità ovunque.

Mi sforzo di guardarmi attorno, di vedere quanto faccia la Vita per continuare, per non cedere alle cannonate della morte. Mi sforzo di non arrendermi, di fare anche io la mia piccola parte. Credo sia l’unica cosa che dà un senso a tutto. Anche se a volte si fatica a vederlo.

Cosa resta… ora come ora, cosa resta del nostro passaggio in questo mondo.