Decisioni difficili

Attenzione: questo post è un pò differente dai soliti. In effetti, è una sorta di sfogo post-rinvio della laurea.

Come spiegare il mio stato d'animo?
Dato che la sensazione a pelle non è molto differente da quella provata alcuni anni fa, quando ho mandato a cagare il mio precedente lavoro e il mio capo, non ho trovato di meglio che parafrasare le parole del buon Davide Bianchi:

"Dopo la riforma dell'Università, riforma che in realta' fu una semplice demolizione (la Gelmini non ha alcun interesse a far progredire teste pensanti, altrimenti alle prossime elezioni col cavolo che il suo Padrone resta al governo), il corpo docente decise che il sistema migliore per mandare avanti la facoltà con poco tempo e poche risorse a disposizione fosse quello di dimenticarsi dei propri studenti in tutte le cose quotidiane, scelta che in realtà non cambia molto le cose, dato che il corpo docente non sembra avere la più pallida idea di quanti e quali siano i problemi quotidiani che i loro "discepoli" si trovano costretti ad affrontare.

Il tempo dedicato di conseguenza a noi poveri babbioni, incluso quello necessario al seguire i laureandi durante la tesi, è andato diminuendo progressivamente, e le richieste di correzione degli elaborati e di colloquio con i docenti sono state, con queste motivazioni, continuamente disattese.

Il che ha portato i miei livelli di stress a quote mai viste prima d'ora, nel tentativo di proseguire il lavoro senza interruzioni e in autonomia, lavorando "attorno" ai blocchi stradali disseminati a piene mani da coloro che avrebbero dovuto invece aiutarti a rimuoverli.

Dato che pensavo, e penso tutt'ora, che questa facoltà abbia ancora una possibilita' di combinare qualche cosa di buono, sono rimasto buono buono, consumando progressivamente piu' pastiglie per l'acidita' di stomaco. Ma quando il conto della farmacia raggiunge il 50% delle spese mensili e' il momento di decidere se lo stomaco e' meglio del discutere la propria laurea a giugno o viceversa.

Di sessioni di laurea ne trovo altre, di stomaci no. Quindi la decisione e' presto presa."


Ebbene si, è successo.
O meglio, mi sono fermato a un passo dal farlo avvenire di nuovo.

La situazione che si è venuta a creare negli ultimi mesi ha rischiato infatti di avvelenarmi. Avvelenare me e il rapporto con il mio relatore, nonchè con la facoltà, e con l'intero mondo della psicologia.
Sebbene la responsabilità non sia certo di quest'ultimo elemento, è abbastanza facile, quando si è in preda all'ira, allargare il raggio d'azione e prendersela con l'intero universo senza motivo.

Così mi sono fermato un istante e ho ripercorso mentalmente le tappe dell'ultima decade.
Da quando ho lasciato ingegneria nel 2003, a quando ho iniziato a lavorare come tecnico, fino a quando ho mandato tutto al diavolo rendendomi conto che la mia strada era un'altra.

Già, perchè ora come mai son convinto che il mio futuro sia come psicologo, e non come tecnico, sebbene la passione per tutto ciò che è tecnologico e per la scienza in generale rimanga un hobby e un interesse che non intendo mettere da parte tantomeno rifiutare in blocco.
Non sono un "bianco e nero". Mi considero ancora poliedrico.

Quindi, di fronte a un casino di proporzioni bibliche, con le scadenze improrogabili da un lato, e la tesi, non ancora approvata, dall'altro, ho dovuto scendere a patti con un limite, che è sia mio che dell'intero sistema.
Ho dovuto rinviare a ottobre la laurea.

E' stato un pò disarmante. Lo ammetto, non sapevo se piangere o lanciare tutto ciò che c'è in cucina dalla finestra.

Quel che mi ha dato più fastidio è che, se da un lato ho anche io le mie responsabilità (ho sovrastimato le mie capacità, e sottostimato il tempo di restituzione dei questionari), c'è anche chi, a mio avviso, non ha svolto il lavoro di correzione in tempi "umani", dove per umani intendo <2 settimane. Dando poi la colpa "ai genitori degli studenti che votano per la Gelmini", e specificando che qualcuno deve pur pagare per questo.

Banali scuse. Dette poi a un "rosso", queste parole lo fanno incazzare come un toro alla vista della muleta.

Sbollita la rabbia, ho analizzato la situazione.
Cosa comporta sobbarcarsi in un'impresa impossibile, quella cioè di rivedere tutto il lavoro in 3 giorni?
Comporta lavorare 18 ore al giorno, mettere da parte (ancora una volta) ogni mio altro impegno, i miei hobby, la mia vita affettiva, con il rischio poi che comunque il malloppo non sia approvato in tempo, cosa che aumenterebbe ancor più il fastidio e il disagio nel rapporto studente-docente.

Dato che non volevo arrivare a quel livello, la mia era una scelta obbligata. Una non-scelta.

Stimo ancora il mio relatore, anche perchè oggi l'ho visto consapevole che la sua incapacità di dire "no" è forse la più grande causa di casini. Credo che si sia reso conto di quanto mi dispiaccia dover rinviare di 4 mesi, e che si senta anche un minimo responsabile. E ciò mi basta.
Dal canto mio credo, con questo tempo a disposizione, di poter fare un lavoro impeccabile.
Sempre, certo, che le correzioni di rotta mi arrivino a tempo debito e non qualche istante prima dell'apocalisse…
Io non ci rimetto più di tanto, comunque. Sono solo 4 mesi. Mi spiace solo per i volontari e i responsabili del servizio P.C., che dovranno attendere l'autunno per leggere le conclusioni della mia ricerca.

E questo è quanto.
Insomma, volente o nolente ho dovuto impegnarmi in un lavoro emozionale non da poco. Che guarda caso è pure il tema del mio elaborato.
Così, se qualcuno fosse ancora convinto del mio non padroneggiare bene questo argomento, leggendo queste righe dovrebbe potersi rendere conto del suo errore. E che forse il management emozionale, grazie proprio a chi "dissemina a piene mani blocchi stradali", sta diventando la mia specialità.

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