Ruoli, scelte e addii

Ormai è un filo conduttore. Mi dedico agli hobby, studio per gli esami di settembre teorie che condivido in parte, affronto quotidianamente le situazioni più comuni e mi ritrovo davanti quelle più strampalate, e tutto mi rimanda in ogni momento al discorso sul ruolo. Quello scelto, e quello che ti obbligano in alcuni casi a interpretare.

Qualche giorno fa c'è stato lo strappo definitivo di Fini dal silvio. La maiuscola e la minuscola non sono casuali…
Gianfranco ha osato, ha reclamato la sua capacità di scegliere da solo, di pensare con la sua testa, di essere dissidente se non si trova d'accordo su qualche decisione. Ed ecco, è stato additato dal duce come un traditore, è stato sbattuto fuori dal partito, fuori dalla casa che anche lui aveva contribuito a costruire. Non mi ritengo certamente di destra, anzi, ma egli ha certamente il mio rispetto e la mia stima.
Ha osato, ha avuto il coraggio di andare contro il suo "dover essere" fedele alla linea del generale.
Ed è stato denigrato, descritto come un traditore, un mentecatto.
Mi pare di ricordare che la stessa cosa sia successa qui, nel mio paesello, circa un anno e mezzo fa.
E mi pare di ricordare come sia andata a finire, per quel ducetto che ha confuso l'amicizia con il servilismo.
Manca poco all'anniversario del nostro piccolo "Indipendence Day". Mi auguro che la storia si ripeta anche nel frangente della politica.

In questi stessi giorni mi sto domandando come ho fatto a nascere.
No, seriamente: la nascita non è solamente un fatto biologico. Le capacità di ragionamento, di scelta, da dove saltano fuori? Da una semplice fusione di due cellule? Dal caso della genetica, dalla fredda logica della chimica?
E il mio coraggio di andare contro, di prendere sberle perchè ho il difetto di pensare e soprattutto di parlare, da dove salta fuori?
Mi viene difficile pensare che possano essere frutto dell'educazione in casa. Il mio modello maschile da bambino lo trasformavo in una pecora, tanto per capirsi. E vedere che oggi, quando ci sono scelte difficili da farsi, si preferisce obbedire piuttosto che portare avanti le proprie convinzioni, limitandosi al massimo a sbraitare senza tregua, non può che rattristarmi.
Credo che in ogni democrazia, e la casa dovrebbe esserne il primo esempio, le decisioni e le scelte debbano essere concordate. Senza che ci sia sempre uno che tace e acconsente, o uno che urla ma alla fine si adegua senza far nulla.
E' possibile, che nella situazione che dovrebbe essere il prototipo della vita comunitaria, la situazione sia invece di chi impone le proprie decisioni, e di chi preferisce passare le giornate a lamentarsi e nulla più? Dove è finito il dialogo, la condivisione, la democrazia?
E' possibile che sia necessario arrivare ad atti estremi per poter riaffermare il proprio diritto a "poter essere"?

Superare i limiti. Certi limiti non dovremmo mai superarli.
Ne va del nostro essere uomini. Salta l'ultima frontiera che ci divide dal mondo animale.
Ma il limite è anche un altro: quello che dovremmo riconoscere riguardo le nostre competenze, quando cerchiamo di riaffermare i nostri diritti.
I nostri, e quelli degli altri.

E' il confine tra l'interesse e l'ingerenza.
E' lecito oltrepassarlo, in alcuni casi?
Secondo me la domanda è sbagliata. Non è "se sia lecito", ma piuttosto "come" oltrepassarlo, senza ledere la libertà altrui.
Da una canzone: "One love, one blood, one life: you got to do what you should"

C'è una cosa, che abbiamo sempre il diritto di poter fare: dire la nostra.
L'altro potrà sempre pensare di buttarsi dal ponte, se proprio lo vuole. Ma può essere che l'ascoltare il parere di un altro lo porti a cambiare idea. Certo, è difficile accettare che una persona a cui tieni voglia fare quel balzo, e finire in un burrone, che tra l'altro ha già visitato molto bene. Ma chi sono io per negargli la libertà di decidere della propria vita?
Oltretutto l'altro può non ascoltare i tuoi appelli. Può fare orecchie da mercante, ritenendoti un ebete, oppure può far finta in buona fede di ascoltarti, rimanendo però della sua idea, accecato dalle proprie emozioni, o peggio da quelle che qualcuno gli ha messo dentro.

In tali casi, la spinta a un'azione di forza è fortissima. Bisogna salvarlo, bisogna impedigli di buttarsi di sotto.
E infatti le autorità varie si prendono il diritto di "TSO", trattamento sanitario obbligatorio. Che poi sia sanitario o meno, è ininfluente… Si limita la libertà dell'altro di suicidarsi. Perchè si presuppone che sia andato fuori di testa, e che la ragione sia altrove.
Gli eroi fanno la stessa cosa. C'è uno che vuole buttarsi da un palazzo, e Mr.Incredible lo salva.
E si piglia una condanna per avergli impedito di farlo.

E allora, fermarsi o andare oltre, sperando che un domani l'altro capisca?
Tale scelta è un nostro atto di libertà, nel momento in cui ci accorgiamo che l'altro sta facendo una cazzata enorme.

Come posso stare a guardare una democrazia sfaldarsi, disintegrarsi sotto il bombardamento mediatico, e rimanere fedele al mio signore e padrone, leader indiscusso del mio partito, senza nemmeno riprendermi il diritto di dissenso?
Come posso stare a guardare una famiglia annientarsi, sotto il peso di alcune decisioni pesanti da prendere, sotto il peso di alcune situazioni che si decide di non affrontare per non creare dispiaceri, lasciandola agonizzare fino all'inevitabile fine, senza provare in tutti i modi a far comprendere che avanti così non si può andare?
Come posso stare a guardare amici che si buttano in avventure che sanno già come andranno a finire, che dovrebbero aver imparato a gestire proprio per le pedate già prese, senza nemmeno metterli in guardia di fronte all'imminente fregatura che stanno prendendo?

Sono situazioni precise quelle a che ho in mente. Non c'è alcuna generalizzazione, se non nelle parole.

Il fatto è che comincio ad essere stanco. Stanco di fare l'unica cosa che posso fare senza ledere la libertà altrui, cioè parlare.
Specie se non si è ascoltati, specie se vedo che si viene rapiti dal lato emotivo e quel "grano salis" proprio non lo si vuol usare.
E di fronte a tale situazione, e a tale esaurimento di risorse, le alternative si riducono a due. Agire di forza, o allontanarsi da quelle persone che si fanno male e mi fanno quindi star male, lasciandole a loro stesse.

Non è una scelta facile. Sarei propenso per la seconda, ma il legame con loro mi riporta alla prima.
Ad alcuni mollerò un sonoro ceffone, sperando in un brusco risveglio. Altri li saluterò definitivamente.