57 settimane dopo

Martedì, 5 ottobre 2010
E' strano tornare qui.
Ancora più strano passare per quel piazzale dove un anno fa a quest'ora i momenti erano frenetici. Quel piazzale oggi è completamente vuoto, non c'è nulla.
E' strano come sia possibile affezionarsi a una situazione così entropica e disordinata. Forse proprio perchè è fuori dall'ordinario, e alla fine ti ritrovi fagocitato dall'emergenza, prigioniero di una situazione estrema e temporanea dalla quale devi uscire prima che termini. Altrimenti succede come ad alcuni volontari, che si ritrovano a sentirsi privi di ogni scopo. E di vita.

Poi ti ritrovi più di un anno dopo, nello stesso posto. In una casa piena di ricordi di quell'esperienza, e dopo tutto questo tempo riesci finalmente a guardare indietro con un certo distacco quei mesi trascorsi a centinaia di kilometri da casa.
Siamo proprio strani, noi volontari.
Forse è la sensibilità che ci porta a essere tali, a metterci a disposizione. Forse cerchiamo di sostenere nella fragilità dell'altro anche un pò noi stessi. E forse se non ci legassimo così tanto alle persone, e alle situazioni, anche le più estreme, non riusciremmo a dare davvero una mano.

Oggi sono qui. Rivedo quei mesi in cui abbiamo dato tutto quello che potevamo e quello che eravamo agli sfortunati che quel dannato sei aprile avevano sentito sbriciolarsi la terra sotto i loro piedi. Abbiamo dato il nostro massimo, abbiamo fatto quel che potevamo per rimettere in moto la carretta. Tra sofferenze empatiche, risate, pianti, notti in bianco e momenti da ricordare. Abbiamo donato. Ancora di più abbiamo ricevuto. E tutto gratuitamente.

Quella frase "…e cribbio, se siete stati utili." riecheggia ancora fresca nella mente, ti manda avanti, ti porta a cercare di migliorarti per poter dare sempre il meglio. Ti fa vivere.

Qui qualcosa si sta muovendo. Map, casette, ne sono sorte di cose. Ma non si deve smettere mai di rimboccarsi le maniche, qui di lavoro da fare ce n'è ancora tanto. Tante macerie sono ancora lì, mi domando se di questo passo rimarranno a futura memoria. Vorrei riuscire a vedere un domani i paesi risorgere, ricostruiti, e non abbandonati a fianco delle New Town sorte come insediamenti temporanei ma che spesso diventano definitivi.
E ricostruire come Dio comanda. Una scossa come quella non dovrebbe mai portare a disastri di questa portata. In Giappone una magnitudo 6 la considerano "una scorreggina".

Ricordiamocelo, quando costruiamo le nostre case. Non devono crollare per eventi "medi".
Ricordiamocelo, quando ci curiamo della nostra persona. Deve resistere agli urti della vita.
Poi per le situazioni estreme, per le emergenze, allora si ci sono i soccorsi, allora si ci sono i volontari.
Ma il primo passo dobbiamo farlo noi. Tutti.

— continua —

Mercoledì, 6 ottobre 2010
Tra rassegnazione e vittimismo. Ecco quello che vedo.
Non sono semplici da distinguere, almeno per me che qui c'ho passato solo un mese l'estate scorsa, e rivedo ora appena scorci di quella che è stata l'esperienza.

Centro dell'Aquila. Non è molto diverso da come l'ho visto a settembre dell'anno scorso. Hanno aperto una via principale, puoi attraversare la città da un capo all'altro. Fuori dal centro è caotica, pare Milano nell'ora di punta. Un'ora per fare tre km.
Ma dentro, è una città fantasma. Si respirano odori di legno, di mattoni, di malta, di smerigliatrici e lame da taglio. Un cantiere, immenso. Si lavora, certo, ma ci vuole tempo per ricostruire una città antica.
Andrebbe demolito quasi tutto e ricostruito. E' quasi tutto "E".
Poi ci si mettono i beni culturali, e anche una piastrella diventa inamovibile. E ripartire è dura, con un pistone su quattro funzionante…
"Dove sono finiti i soldi per la ricostruzione? Chi se li è mangiati?" si chiede un residente, urlando contro l'impresario che gli sta comunicando che deve interrompere i lavori…
"Le palle a me non sono mica solo cadute come a te, quando son finite a terra si sono pure rotte!" impreca un altro che mi ha fermato per avere man forte nel suo lamentarsi.
Che sia rassegnazione, rabbia, o vittimismo, non tocca a me dirlo. So solo che vedo sofferenza.
E una città che chissà quando ripartirà.

Mentalità.
Diversa da quella nostra del nord, mi dici. Non la senti minimamente casa tua, troppo diversa, troppo eccessiva da quella a cui siamo stati abituati fin da piccoli.

Eppure io non mi sento a casa mia neanche a Cittadella. Se non avessi quelle quattro-cinque amicizie che mi legano a quel paesello, che spero rimangano salde anche nel futuro, la mia dipartita ci sarebbe stata e di sicuro neanche poco tempo fa.
Troppo individualismo, l'altruismo neanche si sa cosa sia, il volontariato è roba da deboli, il discriminare e l'emarginare il diverso è la norma. Se poi uno ha una sfortuna, si, poverino qua e là, ma poi… cazzi suoi.
A me qui non pare così pessima, la mentalità. Ma è anche vero che io qui non ci ho mai vissuto veramente. Il COM era una realtà parallela, eccezionale, non è il mondo.
A Padova… ho trovato per ora la mia casa. Non ti guardi in cagnesco passando per la strada, saluti e puoi stringere amicizia anche con sconosciuti, non si soffre la fame d'aria che provo invece quando torno al Pozzetto.
Sarò anche difficile, avrò anche delle pretese non da poco… ma un posto dove mi sento a mio agio c'ho messo 27 anni a trovarlo.
Ed è provvisorio. Come il COM, io la città di Padova non la sto vivendo veramente. Vivo l'Università, vivo determinate situazioni, ma non il mondo in cui vivo nel suo complesso. E inevitabilmente finirà, come tutte le esperienze di passaggio.
Ma se non altro, in questo periodo sto definendo dove e come non voglio passare la mia vita. Con che persone non sento di volerla condividere. C'è tutto il resto, però. E di sicuro il mio posto c'è.

— continua —

Son tornato in centro storico.
Qualcuno ha spostato delle transenne, e mi ritrovo in piena zona rossa. Chiedo informazioni a una persona del posto che incrocio lì… anche lui era finito lì per sbaglio, ci mettiamo a chiaccherare… Gli spiego che l'anno scorso ero stato giù un mese come volontario, mi racconta di come vanno le cose qui. Mi dice di portare le foto che sto facendo ai miei amici, non di fornire una "versione" della realtà ma di portare testimonianze innegabili dello stato delle cose.
Il giorno prima aveva appeso alle transenne un articolo preso da internet, nel quale Berlusconi intervistato da Le Figaro, spiegava ai francesi come in meno di un anno fosse stata ricostruita una città intera.
Le foto parlano da sole…

E' vero, è stato fatto tanto. Mi ha infinitamente ringraziato, e con me simbolicamente tutti i volontari, per tutto l'impegno che ci abbiamo messo. Ci è grato, come tutti gli aquilani. Ma il peggio è venuto dopo.
Quando l'emergenza è finita e tutti son tornati a casa, l'Aquila è ripiombata nell'oblio. Dimenticata da tutti. In effetti, se non ne parlo io con gli amici, nessuno più si ricorda da sè di cos'è successo qui il 6 aprile 2009.
Mi correggo, DAL 6 aprile.
L'emergenza non è mai finita. La gente è nelle CASE, nei MAP, bellissimi pure, ma tra costruire e RI-costruire c'è una bella differenza.
La città non è stata ricostruita. Ne è stata costruita un'altra. Una new town.
Ma era davvero quello che la gente voleva? Sono davvero sistemazioni provvisorie?
La burocrazia continua a bloccare tutti i lavori. I beni culturali pure.
E nel centro si lavora non per ricostruire o demolire. Ma per mettere in sicurezza, per puntellare. Ancora oggi.
Questo mi ha raccontato, offrendomi un caffè.
E mi chiedo… se un tale evento succedesse su al nord…
Davvero ricostruiremmo tutto in tempo record, come ci vantiamo di poter fare?
Davvero le nostre case resterebbero perfettamente intatte?
Davvero saremmo così grati ai volontari rimasti a disposizione per mesi e mesi?

Ho molti dubbi al proposito.
Non sputo sul piatto dove mangio, ma nemmeno su quello del mio vicino.

"L'essenziale è riuscire ad avere qualche cosa di buono da fare
o almeno da dire
per non restare a guardare.
L'essenziale è provare a dare il meglio
perchè a dare il peggio c'è sempre tempo.
E infatti come vedi è tornato l'inverno…

L'essenziale è provare a fare in modo di avere sempre qualcosa in cui credi
da inseguire
per non restare a piedi.
L'essenziale è riuscire a dare forma anche a quello che ti sembra assurdo
e se pensi al futuro
non tutto è perduto."

Tiromancino, L'essenziale

— continua —

Giovedì, 7 ottobre 2010
Eccomi tornato.
Che dire… ho scritto molto, ma avrei dovuto essere ancora più prolisso.
Non bastano queste righe a descrivere tutto quello che ho provato in questo breve viaggio a l'Aquila.
Anche stavolta, appena dopo esser partito, mi è scesa una lacrima. Mi mancheranno questi posti e le persone conosciute.
Sarò un sentimentale… ma ne vado fiero.

Ora… è tempo di riflessioni. Ci saranno molte decisioni da prendere nell'immediato futuro.
Alcune di poco conto, altre definitive.
Il rivedere un posto lontano ma a cui sei comunque legato, le riflessioni condivise con Stefy, i discorsi con le persone conosciute in questi giorni, mi hanno portato a delle considerazioni. Sul come si vivono situazioni estreme, su come possono coinvolgerci. Su come dobbiamo comunque uscirne, se vogliamo andare avanti. Sulle infinite mentalità diverse.

Sulle affinità. E qui i sogni si fan sentire…

Non è facile trovare una persona che ti sia così affine. Pensi di averla trovata, e poi ogni giorno che passa ti rendi conto che non è così e che anzi le differenze si fanno via via inconciliabili.
Compromessi, per andare avanti… o ricerca?
Vedremo. Se non altro ora ho le idee molto più chiare.

I viaggi vanno vissuti. E condivisi.
Anche con quella parte di te che nascondi anche a te stesso.

Volontari, perché?

E' trascorso un anno da quando sono rientrato dall'ultimo turno in Abruzzo. Esperienza bellissima in quei tre mesi, anche se pesante e a tratti disorientante. Ma cosa fondamentale, i vissuti di quei giorni sono stati rivelatori, una guida per il mio cammino in quest'anno, e probabilmente anche per il futuro.
Ma perchè ero partito? Cosa cercavo in una tale esperienza? Si, dicono che quello che ti spinge è comunque una esigenza personale.
Forse la stessa cosa che mi aveva spinto anche a fare una esperienza di volontariato in Bosnia, sempre l'estate scorsa. La stessa che mi spinge a determinati atteggiamenti nella mia cerchia di amicizie. E la stessa che mi manda avanti nei miei studi e nella progettazione del mio futuro.

Volontariato. Cos'è?
"Fare qualcosa senza esservi obbligati".
"Agire in sacrificio dei propri interessi".
"Fare qualcosa di utile".

In sostanza, "agire liberamente per un mondo migliore, per tutta l'umanità".
Non è una cosa semplice, innanzitutto perchè il concetto di "migliore" è soggettivo, ma anche perchè applicarlo a sè stessi, e pretendere di poterlo applicare agli altri, non è per niente una passeggiata.
E mantenendo sempre a mente il motto: "Le esigenze dei molti contano più di quelle dei pochi… o di uno".
Già… ma se la spinta è comunque personale… cos'è che ti spinge a farlo?
Empatia? Altruismo? Spirito di sacrificio?

Le ragioni possono essere molteplici. E forse permettono di distinguere il volontario "sano" da quello "patologico". Differenze a tratti sottili, ma che creano uno spartiacque spesso incolmabile.

Molti decidono di imbarcarsi in azioni di volontariato per la necessità di mettersi in mostra. Se non dimostrano agli altri quanto valgono, non si sentono nessuno, non riescono a sentirsi realizzati nè veramente vivi. Hanno un ego piccolissimo, divorato dal loro stesso narcisismo.
Ma è davvero altruismo questo? Anche se le azioni di tali persone fossero di effettivo aiuto, sarebbe davvero applicata la regola che l'interesse di pochi conta meno di quello di molti? O piuttosto chi se ne avvantaggerebbe sarebbe piuttosto quel "volontario", che finirebbe per essere decorato dal popolino con una medaglia d'oro al valore civile?

Alcuni volontari invece cercano davvero di dare una mano. Fino all'estremo. La cosiddetta "sindrome del supereroe", che porta ad annientarsi nel tentativo di risolvere tutti i problemi del mondo, dimenticandosi che anche l'eroe fa parte del mondo, e dei "molti" del motto.
Qui, il volontario non solo rimane "fregato", ma rischia di fare più danni che benefici. A ognuno la sua specializzazione, un addetto logistica non dovrebbe occuparsi di soccorso e tantomeno un radiotecnico di medicina. Senza considerare poi che l'aiutare una persona è molto distante dal risolvere i suoi problemi sostituendosi ad essa, il cosiddetto "sovraiuto", che crea più problemi di quelli che risolve, rendendo il bisognoso un handicappato.

Altri ancora decidono di far volontariato per puro vantaggio personale ed economico. Soldi, soldi, sempre e solo soldi, il motore della loro esistenza. L'unica cosa attorno a cui gira il loro mondo. Mascherati da volontari, agiscono solo per un guadagno personale, che cresce, cresce, e si trasforma rapidamente in un "lavoro".
Dov'è l'agire in sacrificio dei propri interessi? E come si può dire di non esservi obbligati, se si obbedisce a una logica economica?

Ma quindi è possibile un volontariato "sano", in mezzo a tutti questi casi disperati?

Eliminando a piè pari l'ultimo esempio, che è il più estremo, credo che la totale bontà di una azione altruistica nel volontariato sia un ideale, che come tale rimane irraggiungibile, anche se dovrebbe illuminare come un faro il porto a cui si cerca di attraccare.
Non vi possono essere nemmeno categorie statiche entro cui inquadrare il fenomeno del volontariato.
Piuttosto, ci vedo un continuum, che va dal guardare all'interesse di molti, fino a quello di pochi o di una persona soltanto.
Dall'altruismo ideale fino all'interesse personale completo.

E qui ci si possono vedere tutti… Da quello che indossa la divisa anche quando va al ristorante con gli amici, a quello che nemmeno sai che è un volontario perchè lavora da dietro le quinte e non lo dice ad anima viva. Da quello che insiste a volersi dimostrare superiore ad altri volontari perchè è "più figo", fino a quello che di fronte a tali manifestazioni di egocentrismo se ne va abbattuto, ma senza ribattergli contro perchè non vuole nemmeno lontanamente abbassarsi al suo livello.

Cos'è questa cosa che ti spinge ad agire in sacrificio dei tuoi interessi, spesso anche economici, per non ricavarne apparentemente alcun vantaggio personale, ma a tutto vantaggio di chi ha bisogno del tuo aiuto?
Non so dare una risposta a tale domanda, che non sia l'amore disinteressato verso gli altri, il mirare a fare del bene reale al prossimo.
Ma sono ben cosciente che in molti casi tra questo ideale e un interesse personale, se non altro atto a soddisfare un pò il proprio ego, vi sia una linea molto sottile. Ed è un confine su cui si sta spesso in equilibrio.

Nelle ultime due settimane ne ho visti di casi, che vanno da un estremo all'altro…
Da quelli che ci rimettono non solo tempo personale, ma anche quello da dedicare alla famiglia, rischiando di non vedere la nascita del proprio primo figlio, a quelli che hanno visto in una Adunata degli Alpini la possibilità di guadagnare soldi facili facendo del falso volontariato.
Eppure sono inquadrati entrambi come "volontari"… Ma che distanza li separa!

E nell'ultimo anno ne ho visti di "altruisti"… Da quelli che ci rimettono tempo, denaro, possibilità, talvolta il proprio futuro, per stare dalla parte del più debole, a quelli che organizzano concerti benefici per guadagnarne non soldi ma visibilità, stima, approvazione, così da colmare il baratro del loro ego, di fatto comprando il consenso altrui.

Il volontario se ne sbatte del consenso altrui. Spesso nemmeno ce l'ha. Se glielo danno, fa finta di nulla: non è un premio richiesto, non è un "rimborso spese" desiderato. E' un surplus, fa bene, ma non se ne gloria nè lavora per questo. La vera soddisfazione ce l'ha già nel vedere che l'altro sta meglio grazie al suo rendersi utile. E se la tiene stretta dentro di sè.

Credo che i giochi a somma zero non siano per niente compatibili con il volontariato e l'altruismo.
Eppure è facile cadere nella loro trappola. Come non accorgersi di chi li pratica volontariamente o ci è caduto, contribuendo a perpetrare il loro gioco.

Il volontariato e l'altruismo vanno di pari passo con le parole "buonsenso" e "prossimo". Sta a noi imparare tale linguaggio.

Amicizia

L'amicizia è gratuita. Non è in vendita.
Non si può comprare con frasi fatte, con quattro parole messe in ordine. Non si può comprare con regali, nè con gesti non autentici.
L'amico non è sempre comodo. Anzi spesso è scomodo.
Non ti dice semplicemente quello che vuoi sentire, ma quello che spera ti serva, anche quando non lo vuoi sentire.
Troppo facile accattivarsi le simpatie altrui riempiendogli la testa di stronzate, o dicendogli esattamente quello che vuole sentire, concordando ogni volta con l'opinione dell'altro, anche se si è in totale disaccordo, pur di accontentarlo.
Non è amicizia questa. E' compravendita.

Continua a girarmi per la testa quella frase. Parafrasando, bugiardo è chi non parla, non solo chi mente.

Mi hai chiesto perchè nessun altro ti dice nulla. Bene, questa è la mia risposta.
Credo che un amico sia disposto a rischiare l'amicizia stessa, fino a perderla, pur di schierarsi dalla parte della persona a cui vuole bene. A dirgli quello che non vuole sentirsi dire, ad andargli contro, a dargli due pedate sul sedere, se crede serva. Anche se poi si sta male, se ti senti rifiutato, se ti senti disperatamente solo.
E' il prezzo da pagare per essere autentici con le persone a cui vuoi bene. Conto salato, senza dubbio. Ma pago, senza fiatare, anche se in banca ormai non mi resta granchè.

Resto schifato in altri casi. A sentir impartire lezioni di vita sulla superiorità del proprio sé rispetto allo spazio da concedere all'altro.
E ancor più basito a vedere come tali idee siano accettate senza batter ciglio.
Come la manna dal cielo.
Certo, mettere l'altro davanti a sè è andar contro al proprio narcisismo. Ognuno ne ha un pò.
Ma mettere sè stessi davanti a tutti è arrendersi all'egoismo umano. E' tornare a essere delle bestie.
La soluzione sta nel mettere il NOI davanti al sé e all'altro. Siamo sullo stesso piano. Non può primeggiare nessuno in questioni del genere, non è un "gioco a somma zero".
Quando ci si annulla nell'altro, si smette di esistere. E quando ci si impone sugli altri, si annullano le persone che possono riconoscere che si esiste. Mi correggo, che si E', è più di un semplice esistere.
Se ci si mette davanti all'altro, inizia una guerra, senza vincitori nè vinti. Perdono tutti.
L'unica guerra in cui si può vincere, è quella che si sceglie di non combattere. E si vince tutti.

E quando ci si sente soli, è così tremendamente normale trovare nella fuga l'unica soluzione alle situazioni critiche.
Fuggire il mondo, e fuggire anche sé stessi. Qualcuno in un viaggio senza destinazione, qualcun altro in relazioni con perfetti sconosciuti o quasi, qualcuno ancora nella morte.
Ma è sempre un gettare la spugna, arrendersi di fronte alle avversità. E' uccidere la propria parte Umana, e lasciar spazio alla semplice fotosintesi clorofilliana.
Strategie fallimentari. Non risolvono i problemi, li evitano.
Dovresti essertene accorto ormai. Sei tutto, tranne che stupido.
Ma questi problemi restano, e prima o poi li devi affrontare. Tutti assieme.

Mi si stringe il cuore, ma contemporaneamente mi girano le palle, a veder evitare i problemi con tali strategie. Persone che sorridono e fanno finta di niente, quando mezz'ora prima erano completamente disperate. Che si girano, per non vedere ciò che comunque devono affrontare. Ciò che non possono ignorare in eterno. Che alla prima occasione schivano la propria sofferenza puntando diritti alla prima preda che vedono passare davanti a un locale, rendendosi conto dell'immane stronzata, ma non avendo altra strategia per colmare il proprio vuoto interiore.

Il vuoto interiore non si colma con un bacio. Nemmeno con una scopata.
E' un deserto: va dissodato, seminato e coltivato. Con pazienza e amore.

L'amico non può sostituirsi a te nei momenti di difficoltà. Troppo comodo. Esattamente come fuggire.
Ma un amico, queste cose, le dice, non rimane zitto, per interesse personale o per menefreghismo.
Non pensa al proprio tornaconto in quei momenti. Si gioca tutto, anche l'amicizia stessa.
Tantomeno risponde a casaccio. Ci pensa, prima di parlare. Non ci dorme spesso la notte.
Forse il bugiardo più grande è proprio chi "fa" l'amico, invece di esserlo con naturalezza. Chi sta zitto, chi fa finta di non vedere. Oppure chi ci vede benissimo, e nel dettaglio scorge che nel proprio silenzio inautentico si cela un guadagno personale.

Possibile che il mondo sia così miope? Che le relazioni autentiche siano così rare?
E soprattutto fa un male boia, sentire che non sono valorizzate. Fa soffrire spendersi per l'altro e vedere che vieni bistrattato.
Ma il constatare tale terribile fatto non cambierà nè ciò che provo, nè ciò che faccio.
Certi valori sono troppo radicati. Sia hanno una logica, sia li senti come "buoni" a pelle.
Vorrei solo evitare di fare la fine di un certo Tizio, che per amore del prossimo ha perso praticamente tutto ciò che aveva.